La riflessione che segue sul tema della ricerca della verità nella Scienza mette a fuoco il cosiddetto «metodo scientifico», caratterizzato essenzialmente dal non concedere affermazioni che non trovino un preciso riscontro nei risultati sperimentali: ciò comporta una forma di coraggiosa onestà intellettuale, quella del confronto delle proprie affermazioni con la realtà fenomenologica, anche quando portasse a mostrare la falsità di esse. Con questo metodo si arriva a rappresentazioni che consentono la comprensione dei fenomeni naturali, e che, pur non essendo definitive, permettono una forma di conoscenza rigorosa e oggettiva.
La ricerca della verità, il discernimento fra verità e concezione errata è il fondamento stesso della Scienza. Qualsiasi disciplina scientifica non potrebbe esistere senza la possibilità di individuare quale sia il vero e quale sia il falso. Correnti di pensiero quali quelle che vengono individuate come «pensiero debole» e «relativismo» sono di per sé stesse totalmente antiscientifiche.
Il processo di distinzione fra vero e falso nella Scienza si vale della logica matematica, i cui fondamenti ultimi possono essere fatti risalire ad Aristotele. Altre impostazioni logiche non hanno rilevanza scientifica. Così Einstein giudicò il Die Dialektik der Nature di Engels del tutto privo di valore scientifico.
L’onestà scientifica: la caduta dei gravi
Nella Scienza l’asserzione della verità si identifica con l’onestà scientifica. Infatti non basta ricercare la verità, ma lo scienziato deve accettare comunque il risultato di un test, di un esperimento, di un calcolo, sufficientemente testato, anche se questo dovesse invalidare un suo lavoro pluriennale. La deviazione dalla linea di «ricerca e asserzione» della verità distruggerebbe qualunque ricerca scientifica e toglierebbe credibilità allo scienziato che dovesse intraprenderla.
Questa ricerca della verità nella Scienza è continua, non solo nel senso che lo studio di nuovi fenomeni comporta automaticamente tale atteggiamento, ma anche nel senso che un modello, una rappresentazione di un fenomeno, una legge, non viene mai considerata definitiva, ma viene sottoposta a continue verifiche. Il processo di verifica continua teoricamente fino all’infinito, anche se in certe condizioni e in ben definiti campi di applicabilità alcune leggi sono talmente affidabili da essere considerate ormai praticamente definitive.
Cerchiamo di chiarire le affermazioni precedenti con un esempio semplice. Supponiamo che uno scienziato osservi un fenomeno, quale la caduta dei gravi sulla Terra. Inizierà a sperimentare in un certo luogo: per esempio lasciando cadere un grave dalla Torre pendente di Pisa. Dopo averlo fatto più volte si persuaderà che in quel luogo i gravi percorrono un traiettoria rettilinea e che sono tutti sottoposti a un moto accelerato (con verso nella direzione della Terra,) con accelerazione avente sempre lo stesso valore. In questo modo ha elaborato una «rappresentazione» del fenomeno: «caduta dei gravi dalla Torre di Pisa».
Il passo successivo è un’estensione, ovviamente ipotetica, della rappresentazione «pisana»: in tutta Italia tutti i corpi cadono con traiettoria rettilinea e con la stessa accelerazione. Questa nuova rappresentazione va ovviamente provata e quindi bisognerà progettare esperimenti, che so, dalla Torre del Filarete a Milano, dalla Torre degli Asinelli a Bologna, e cosi via, e confrontare il risultato di questi esperimenti con la previsione della rappresentazione, quella che i gravi cadono verso Terra, con trattoria rettilinea e con un’accelerazione che assume lo stesso valore dappertutto (va ora sottolineato che tali esperimenti sono stati eseguiti fino a questo punto con corpi massivi). Se i risultati sperimentali vanno d’accordo con le previsioni della rappresentazione, allora quest’ultima risulta validata e quindi estesa a tutta l’Italia. Se invece i risultati fossero discordi, in questi casi bisognerebbe cambiare la rappresentazione.
Questo alternarsi di deduzione dalla rappresentazione e induzione dal confronto fra risultati degli esperimenti e predizione della rappresentazione, è un ciclo che non si arresta teoricamente mai, perché l’estensione degli esperimenti, il progredire della tecnica che permette misure sempre più precise, e teorie sempre più omnicomprensive possono mettere in dubbio la rappresentazione accettata fino quel momento.
Dopo aver esteso la rappresentazione della caduta dei gravi in Italia a tutto il mondo, con le stesse modalità utilizzate per passare da Pisa all’Italia, possiamo utilizzare non più dei gravi compatti e massivi, ma per esempio una piuma; si constaterebbe allora che la traiettoria non è più rettilinea e che il tempo necessario per effettuare la caduta è molto maggiore. Ciò comporta una revisione della nostra rappresentazione in quanto la sua formulazione precedente non specifica il mezzo entro il quale deve avvenire la caduta (e che non è sempre possibile trascurare l’attrito dell’aria). Rifacendo ora l’esperimento della caduta della piuma in un tubo a vuoto si ottiene lo stesso valore dell’accelerazione che nel caso dei gravi massivi. Inoltre sarà bene precisare che il grave non deve avere vincoli, ma deve essere libero nella sua caduta.
Di conseguenza la rappresentazione dovrà essere corretta in: «Tutti i gravi in caduta libera sulla Terra, in assenza di attrito atmosferico, percorrono una traiettoria rettilinea e sono dotati di accelerazione costante».
Una generalizzazione: l’attrazione gravitazionale
Ovviamente questo studio è ben lungi dal fermarsi. In un successivo passo e a seguito delle osservazioni di Keplero sul sistema solare, fu formulata da Newton la legge della gravitazione universale, nella quale è automaticamente conglobata la caduta dei gravi. Quindi la caduta dei gravi sulla Terra diventa un problema di dinamica fra due corpi, la Terra e il grave, che si attirano con una forza gravitazionale proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
La legge gravitazionale è anch’essa soggetta a continui controlli. Per esempio in un delle spedizioni della NASA sulla Luna sono state eseguite misure di caduta dei gravi per fare un test con una massa diversa da quella della Terra. Naturalmente misure anche molto precise sull’attrazione fra masse possono essere fatte con la bilancia di Cavendish. Ma tuttora ci si interroga se la legge di gravitazione universale, largamente provata nel Sistema Solare, sia valida anche in zone dell’Universo ove la densità di materia può raggiungere valori miliardi di volte superiori a quella dei corpi celesti conosciuti. Cosi deviazioni dalla legge di gravitazione osservate all’interno di certe galassie e fra due diverse galassie, deviazioni ottenute come se ulteriori masse fossero presenti in aggiunta ai corpi che emettono qualche tipo di radiazione, potrebbero essere dovute al fatto che la legge di gravitazione cade in difetto in presenza di densità così elevate. Anche se va sottolineato che attualmente la tendenza è di attribuire tali deviazioni a materia stellare invisibile, la cosiddetta «materia oscura».
L’esempio molto schematico ora fatto riguarda osservazioni di Fisica, ma il discorso potrebbe essere allargato alle altre Scienze della Natura, quelle cosiddette «Esatte», con varie differenze a seconda del tipo di Scienza e della sua possibilità di procedere a esperimenti o osservazioni che pongano al vaglio le «rappresentazioni» ottenute con diverse tecniche.
Verità scientifica: comprensione del fenomeno
Non è qui la sede per fare un discorso sul metodo. Tuttavia è bene sottolineare che la ricerca della rappresentazione migliore è in sintesi una continua e costante ricerca della verità che comporta un vaglio continuo delle conoscenze esistenti con lo scopo di migliorarle e quindi rafforzare la verità scientifica. Il ciclo metodologico riprodotto nello schema che segue riassume per sommi termini il processo sopra illustrato.
Quindi nelle Scienze della Natura il rapporto continuo e referenziale con la realtà ne è il fondamento stesso. E «verità» per la Scienza è la comprensione del fenomeno, comprensione che corrisponde il meglio possibile ai meccanismi del fenomeno stesso.
Cosa significa «il meglio possibile»? significa che il risultato degli esperimenti e la previsione della rappresentazione sono in accordo, accettando differenze fra loro che non devono superare, secondo le leggi del caso, le incertezze delle misure sperimentali, eseguite con le migliori tecniche del momento, ed eventuali distorsioni strumentali.
Tutto quanto illustrato sopra comporta che lo scienziato debba essere prima di tutto assolutamente scevro da pregiudizi, debba essere assolutamente rigoroso e immediatamente disposto, anzi entusiasta a cogliere il risultato di un esperimento, qualunque ne siano le conseguenze. Si ben comprende anche che le verità scientifiche hanno diverso grado di affidabilità a seconda che il ciclo rappresentato dallo schema precedente possa essere percorso più e più volte. Per esempio se noi lasciamo cadere un grave sulla Terra non abbiamo alcun dubbio sul dove e sul quando toccherà il suolo. La stessa certezza non la possiamo avere se modellizziamo i primi istanti di vita dell’Universo.
L’oggettività della scienza
Una proprietà fondamentale di qualunque risultato sperimentale è che esso, per poter essere accettato, deve poter essere riprodotto da qualunque altro gruppo di ricerca: cioè i risultati devono essere compatibili fra loro entro le incertezze delle misure sperimentali, sempre presenti in maggiore o minor misura a seconda delle difficoltà sperimentali e della tecnologia usata. E ciò vale anche per un calcolo o per un modello. Chiunque abbia conoscenze tecnico-scientifiche appropriate deve poter raggiungere lo stesso risultato ottenuto da altri sul medesimo argomento.
Quindi la «verità» scientifica è una verità «oggettiva»: non dipende dall’approccio di una singola persona e deve essere condivisa e accettata da tutti gli addetti ai lavori, per poter essere considerata valida.
Queste caratteristiche della Scienza la rendono indigesta a molti perché il risultato scientifico è imprevedibile, non manipolabile e deve essere accettato così com’è. Ciò da fastidio certamente a tutti i sostenitori delle ideologie perché bisogna continuamente confrontarsi con la realtà e quindi astratti teoremi mentali non sono ammessi. La Scienza, come conoscenza di base, non è amata da coloro che vogliono far prevalere a tutti i costi un loro punto di vista, anche se questo non è mai stato sottoposto al vaglio della realtà. E allora ci si inventano delle estrapolazioni, che partendo da risultati scientifici, ne operano delle interpretazioni e estensioni assolutamente arbitrarie. Un solo esempio per tutti: l’Evoluzionismo rispetto alla Teoria dell’Evoluzione. È inutile dire che queste estrapolazioni non hanno nulla di Scientifico, come in generale non lo hanno le correnti di pensiero la cui denominazione finisce per «…ismo. »
In conclusione la «verità» nell’ambito scientifico è continuamente cercata, vagliata, testata come unico e solo scopo della Scienza, intendendo per essa la ricerca scientifica fondamentale. La Scienza applicata, invece segue tutta un’altra logica. Essa applica le conoscenze acquisite dalla ricerca fondamentale per raggiungere scopi di tipo tecnologico, umanitario, politico, finanziario, etico, a seconda dei casi.
Il «coraggio della verità» nello sviluppo scientifico non è altro che l’onestà scientifica dello scienziato, fondamentale per l’esistenza stessa della Scienza. Negli ultimi tempi si è assistito ad alcuni annunci prematuri di scoperte scientifiche, poi smentite da test più attenti.
Questi episodi sono certamente controproducenti e violano il decalogo del mondo della Scienza, ove i risultati scientifici, per essere accettati, debbono avere una probabilità di non essere smentiti superiore al 99.73%. (alcune riviste scientifiche chiedono addirittura una probabilità maggiore).
Quindi l’annuncio di una qualsiasi scoperta scientifica non dovrebbe essere dato se la sua affidabilità fosse inferiore a questa probabilità e se non ancora riprodotta e confermata da altri esperimenti indipendenti.
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Gianpaolo Bellini
(Università degli Studi di Milano, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare)
© Pubblicato sul n° 51 di Emmeciquadro