Come giustamente sottolinea il Ministro degli esteri Franco Frattini la “sconsiderata” violazione della tregua da parte di Hamas è un atto vergognoso e ingiustificabile. Allo stesso tempo sono più di 350 i motivi che mi rendono certo del fatto che anche Israele sbaglia. Tante sono le persone, tra le quali moltissimi civili, rimaste uccise dai raid israeliani a Gaza.
Questo è il primo e prioritario aspetto che va sottolineato con forza, perché una strage simile non era affatto inevitabile, lo scontro armato, l’atto che viene chiamato “rappresaglia” da parte di Israele non costituisce l’unico orizzonte possibile. Non si può ragionare in astratto senza tenere conto degli effetti di un’azione di guerra.
Nel mondo occidentale democratico tutti quanti siamo bramosi di intravedere finalmente uno spiraglio che ci faccia intravedere la soluzione pacifica a un conflitto che da troppo tempo sta insanguinando la Terrasanta. Questa premessa era obbligatoria perché i morti innocenti pesano sempre, sono sempre il peso più grande per chi gestisce gli equilibri internazionali.
Israele non può certo accettare inerme che la propria popolazione civile resti sotto scacco dei missili terroristici di Hamas, che resta un attore con il quale non si può dialogare e al quale forse, in passato, sono state comminate anche meno sanzioni di quante effettivamente meritasse. Ma in questo momento sono tutti d’accordo sul fatto che l’ipotesi di un intervento prolungato e ancora più risoluto con l’obiettivo di estirpare definitivamente il cancro di Hamas sarebbe in primo luogo una tragedia dal punto di vista umanitario, un immane spargimento di sangue che nuocerebbe soprattutto al popolo israeliano.
E allora perché una reazione tanto sproporzionata? Quello di indebolire in maniera decisiva la struttura militare è davvero l’unico modo per costringere Hamas ad accettare una tregua vera? Davvero la volontà politica di Israele era paralizzata dai missili di Hamas? Non possiamo certo far finta che queste 36 ore di bombardamenti strategici non abbiano avvantaggiato Israele anche sul piano politico in previsione di un futuro tavolo di trattativa con Hamas. Ma la veemenza e la sproporzione dell’intervento fanno pensare ad almeno altri due possibili scopi complementari a cui mirava il Governo israeliano.
Il rapporto con gli Stati Uniti d’America e la protezione che questi possono garantire è da sempre un crocevia fondamentale: in primo luogo Israele vuole quindi capire da che parte stanno i “nuovi” Stati Uniti di Obama, o meglio in che misura Obama sarà filoisraeliano, se sarà più o meno amico di quanto lo è stato George W. Bush. Inoltre l’intenzione di Israele sembra essere quella di parlare a nuora perché suocera intenda, attacca cioè gli integralisti di Hamas per far uscire allo scoperto gli altrettanto integralisti di Hezbollah, avendo ben impresse nella mente le vicende libanesi di due anni fa.
La reazione di Hezbollah non si è fatta attendere, il leader del movimento sciita Hassan Nasrallah, si è subito rivolto «ai popoli arabi e musulmani», esortandoli «a continuare la mobilitazione a tutti livelli», e a esser «pronti a eseguire ogni tipo di decisione». Nasrallah ha dichiarato che i suoi combattenti sono allertati per fronteggiare una possibile «nuova aggressione del nemico israeliano».
Quest’ultima considerazione rinforza e ci fa meglio comprendere l’urgenza di un cessate il fuoco permanente, e la necessità di restituire legittimità ad Abu Mazen e all’Autorità Nazionale palestinese per non spezzare in maniera irreversibile il sottile filo del dialogo. Il primo passo deve venire da Israele, che deve assolutamente prendere in grande considerazione le proposte dell’Unione europea a cui farà seguito un Risoluzione delle Nazioni Unite. Da Israele deve partire il “sussulto di saggezza” auspicato da Benedetto XVI.