TEMPI IN EDICOLA/ I cristiani del Sudan alle prese con una fragile pace

- Rodolfo Casadei

Anticipiamo l’articolo di RODOLFO CASADEI pubblicato sul numero di Tempi oggi in edicola. Migliora la situazione del Sudan meridionale, anche grazie alla presenza cristiana. Ma non mancano minacce all’orizzonte

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«Nel Sud Sudan la Chiesa cattolica gode di un immenso rispetto, c’è piena libertà di acquistare terreni e costruirvi edifici religiosi, e le nostre chiese sono talmente affollate che spesso dobbiamo tenere le liturgie all’aperto, sotto un grande albero», racconta padre Cesare.

 

Mentre il Sinodo africano entra nella sua seconda settimana di lavori, non sono tutte cattive le notizie che arrivano dall’Africa. Nonostante guerre, carestie, epidemie e anche vere e proprie persecuzioni, il numero dei cattolici nel continente in meno di vent’anni è triplicato, passando dai 55 milioni del 1978 ai 164 del 2007 (ultimo dato disponibile). A incrementarsi non è stata solo la quantità ma, proprio là dove l’inimicizia verso i cristiani è più forte, anche la qualità.

È il caso della diocesi di Rumbek nel Sudan meridionale, rinata a nuova vita dopo la firma del Comprehensive Peace Agreement (Cpa) del 2005 che ha messo fine a 22 anni di guerra fra i ribelli sudisti e il governo militar-fondamentalista islamico di Khartoum che hanno provocato due milioni di morti e quattro milioni tra profughi e sfollati.

Il vescovo di questa diocesi di tre milioni di anime grande come il Triveneto e la Lombardia è Cesare Mazzolari, 72 anni, missionario comboniano in Sudan da quasi trent’anni. Al tempo della guerra visitava le parrocchie alloggiando in ripari di fortuna e mangiando quel che c’era. Ma i problemi non li ha avuti solo coi radicali islamici: «Nel 1994, ero già vescovo da quattro anni, un comandante dell’Spla (la guerriglia sudista, che a quel tempo si proclamava laica e socialista, ndr) mi fece arrestare. Mi accusavano, in quanto comboniano, di aver favorito l’oppressione del Nord sul Sud perché le nostre scuole a Khartoum erano aperte ai musulmani, e di interferire con l’identità culturale tradizionale dei sudisti. Oggi posso andare dove voglio e le nostre scuole, nel Sud come nel Nord, hanno formato migliaia di sudisti che sono diventati interpreti, amministratori, dirigenti, deputati, eccetera».

 

Molto si è detto dell’islamizzazione strisciante dei sudisti sfollati nel Nord durante la guerra. «Quelli che sono tornati sono ancora cristiani o addirittura lo sono diventati durante l’esilio. In particolare quelli che erano fuggiti in Etiopia e Kenya hanno studiato nei campi per rifugiati, e ora sono maestri e catechisti. Sono tornati più istruiti nel cristianesimo e più profondi nella fede».

 

 

Però all’orizzonte si stagliano minacce, e monsignor Mazzolari lancia il suo appello: «Tutti devono sapere che la pace è fragile e che finora non è stata accompagnata dalla prosperità, anzi: è imminente una carestia nel Corno d’Africa. A questo si aggiunge l’impasse politica: se la comunità internazionale non riprende in mano il dossier sudanese, il referendum per l’autodeterminazione del Sud non si farà o si svolgerà in modo totalmente manipolato. Perché la verità è che il Nord non vuole lasciare andare il Sud, il Nord vuole continuare a sfruttare le grandi risorse del Sud: acqua, terre fertili, petrolio».

 

Il governo autonomo e il Parlamento regionale del Sud Sudan hanno respinto i dati del censimento della popolazione promosso dal governo centrale, che hanno tutta l’aria di un imbroglio volto a spianare la strada a una vittoria incontrastata del National Congress Party del presidente Omar el Bashir alle elezioni politiche dell’aprile 2010; ambienti dello stesso partito chiedono che al Sud sia permesso di secedere dal resto del Sudan solo se al referendum previsto per il 2011 si esprimeranno in questo senso il 75 per cento degli elettori.

 

«La Chiesa ha creato emittenti radio in tutte e sette le diocesi del Sud, e attraverso di esse formiamo la popolazione in vista delle elezioni e del referendum. Ma la verità è che Khartoum non ha nessuna intenzione di rinunciare al Sud».







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