Su ilsussidiario.net si è parlato della decisione del Comune di Newham di chiudere le scuole per le ricorrenze della religione islamica, sikh e indù. Io vivo a Londra, proprio a Newham. Non sono un esperto di sociologia o di antropologia e quindi non ho la pretesa di dare un giudizio assoluto sul mito della multiculturale Gran Bretagna. Tuttavia, dopo quasi dieci anni a Londra, mi sento in grado di dare un giudizio su quello che vedo quotidianamente e di trarne alcune conclusioni.
In un raggio di circa 500 metri da casa mia, ci sono una chiesa cattolica, una chiesa avventista, una chiesa anglicana, due templi sikh, una chiesa di Cristo, tre moschee. La chiesa cattolica e quella anglicana sono le più grandi, ma mentre quella cattolica è ben frequentata, con varie attività culturali e un’annessa scuola (dall’asilo fino alle medie), quella anglicana sembra frequentata solo da adulti ed anziani, è piuttosto fatiscente e trascurata, e non costituisce un centro vivo per la comunità locale. La chiesa avventista, seppure molto piccola, ha un nucleo di fedeli, quasi tutti di origine caraibica, molto solido. Anche i 2 templi sikh sono molto ben frequentati, con feste, matrimoni e varie cerimonie nel fine settimana a cui partecipano indiani delle varie generazioni. Ed è così anche per le moschee, sempre molto piene.
Sulla carta praticamente ogni “indigeno” inglese è anglicano, ma questo non si riflette in una ferma e reale appartenenza religiosa e questa mancanza di fede rende la Gran Bretagna in generale, e Londra in particolare, un territorio facile da convertire per una religione forte quanto quella musulmana. Prendiamo Newham come esempio. Il 38% di chi ci vive è nato al di fuori della Gran Bretagna (la stragrande maggioranza fuori dell’Unione Europea) e quindi porta con sé una cultura e un modo di vivere completamente diverso da quello nativo. Questa convivenza a stretto contatto di gente di nazionalità diversa con poco in comune, che parla idiomi diversi e spesso ha una conoscenza nulla o scarsa della (comune?) lingua inglese, ha come conseguenza l’ignorarsi reciproco. Il segreto della Londra multiculturale sta proprio nell’ignorarsi. Per chi fa parte di una famiglia o comunità con una forte identità culturale e religiosa non rappresenta un problema, perché a quella identità può fare riferimento quando si confronta, o si scontra, con realtà molto diverse. E, paradossalmente, sono proprio gli immigrati che hanno un forte Io.
Tra i nativi, una parte è indigena in senso stretto, cioè bianchi che vivono in Gran Bretagna da parecchie generazioni. Tra questi, molti hanno solo contatti occasionali con non-inglesi e pensano che la multiculturalità di Londra stia nel mangiare un Curry in Brick Lane. Per altri, invece, vuol dire assistere ad un cambio radicale del panorama urbano in cui sono cresciuti e a cui sono abituati, che spesso può portare disagio e paura fino alla xenofobia (il partito di estrema destra BNP, che accetta solo bianchi tra le proprie fila, alle Europee ha ottenuto 2 Euro-parlamentari). Si può però anche rimanere affascinati dal diverso, specie se con una personalità culturale più forte, ed è così che nelle vie di Newham non è insolito vedere bianchi inglesi con lunghe barbe entrare in una moschea, o ragazzini col cappuccio che parlano e si atteggiano come abitanti di un ghetto di New York o Los Angeles.
Altri sono nati a Londra, ma figli di immigrati, e per loro e per i loro figli è anche più difficile far coesistere la cultura famigliare con quella locale. Hanno passaporto inglese, ma i loro genitori sono giamaicani, pakistani, senegalesi eccetera e sono divisi tra i costumi del Paese di provenienza dei genitori (o nonni) e di quello in cui sono nati. Le comunità di immigrati aiutano i figli di seconda e terza generazione a mantenere la propria identità, ma allo stesso tempo rendono difficile l’integrazione con il resto della popolazione, sia per motivi religiosi, sia per motivi culturali. Per esempio, gli inglesi adorano passare le ore a bere birra nei pub, passatempo difficile per musulmani che non bevono alcolici.
Per coloro ai margini della società, economicamente ma soprattutto socialmente, il desiderio di appartenere a qualcosa è molto forte, e così diventano spesso preda del fondamentalismo, non solo islamico. Infatti, anche il fondamentalismo di estrema destra trova terreno fertile nella white working class (la classe operaia bianca), che si sente bistrattata da un governo debole e preda del politicamente corretto, che impone leggi sulla maggioranza indigena a favore delle minoranze etniche.
La decisione di chiudere le scuole per le festività delle religioni non cristiane è stata motivata ufficialmente dal sindaco di Newham con il fatto che insegnanti e alunni non si presentavano comunque a scuola in quelle date, appunto per poter celebrare queste festività, per cui si è data la possibilità alle scuole di chiudere in quei giorni. Per mantenere i 193 giorni di scuola obbligatori per anno, si dovranno sospendere le lezioni in altri giorni tradizionalmente festivi, e sarebbe interessante sapere quali delle esistenti festività verranno sacrificate.
Parrebbe questo nient’altro che un tentativo di favorire l’integrazione tra gli studenti e i professori, come lo è insegnare i fondamenti delle varie religioni nelle scuole. Purtroppo mi sembra il modo sbagliato, perché la soluzione non sta nel dare lo stesso peso, tra l’altro in modo superficiale, a tutte le religioni. Quasi il 50% degli abitanti di Newham è cristiano, circa il 25% è musulmano, il 7% indù e meno del 3% sikh. Ma al di là delle cifre, stiamo parlando di una nazione con alle spalle secoli di storia inscritti nella cristianità e dimenticarsene rappresenta, questa sì, una grave ingiustizia. La cosa preoccupante è che ciò viene attuato sistematicamente a livello istituzionale, a partire da Strasburgo, dove ogni riferimento all’eredità cristiana è stato appositamente cancellato dai documenti costitutivi dell’Unione Europea, per continuare con la recente sentenza sul crocefisso nelle scuole italiane, sempre da Strasburgo sia pure da diversa istituzione.
Questo si riallaccia a quanto detto in precedenza. In Gran Bretagna, e credo purtroppo anche nel resto d’Europa, noi siamo cristiani all’acqua di rose, solo sulla carta, e non una presenza costante nel quotidiano politico e sociale. Per cui accettiamo più o meno passivamente che la nostra identità culturale sia sterilizzata con una potente iniezione di politicamente corretto e che ogni traccia del nostro cristianesimo sia cancellata dalla realtà pubblica: via i crocefissi, via l’ora di religione, anzi no, ripristiniamo l’ora di religione, ma per i musulmani, e via dicendo.
Non perdere la nostra identità deve essere nostra responsabilità, ricordandoci che la croce non va solo appesa ai muri, ma va portata sulle nostre spalle.
(Peter DeBrando Chiesa)