ARGENTINA/ I duecento anni dell’Italia d’Oltreoceano

- Arturo Illia

Oggi la Nazione argentina compie duecento anni. ARTURO ILLIA ci descrive la realtà di un paese davvero simile al nostro

Buenos_AriesR375 La spianata di Buenos Aires dedicata al bicentenario dell'Argentina (Foto Ansa)

Quel fatidico 25 maggio del 1810 viene considerato dagli argentini come la data di nascita della Nazione. Si tratta in verità di un errore storico, dato che l’Argentina nacque esattamente il 9 luglio del 1815 con tanto di atto firmato a Tucuman, città situata nel Nord del Paese, ma l’assemblea che avvenne quel fatidico 25 sancì il primo vagito di indipendenza da una Madre Patria, la Spagna, che la dominazione francese aveva lasciato senza una reggenza riconosciuta e aveva quindi “liberato” dal vincolo di obbedienza non solo la nazione iberica, ma anche i suoi possedimenti.

Compie quindi 200 anni una Nazione unica nel Continente Americano, figlia soprattutto di grandi flussi migratori che l’hanno formata, che ne hanno scritto la storia molte volte epica, ma che hanno creato contraddizioni e pagine amare, queste ultime anche recentissime.

Una Nazione di 34 milioni di abitanti in gran parte di origine italiana, un Paese dove si mantengono tradizioni, si parlano ancora dialetti da noi quasi scomparsi, dove gli italiani hanno saputo crearsi una notevole importanza, anche se mai hanno espresso una figura dominante a livello politico, fatta eccezione per il breve periodo di presidenza di Arturo Frondizi (1958-1962).

Un’Italia fuori dall’Italia che purtroppo rischia di sparire soprattutto per colpa di una politica, quella italiana, che ha sempre considerato l’Argentina non una straordinaria occasione culturale (che poteva anche trasformarsi in economica) ma alla stregua più di un fatto folcloristico e quindi trattandolo con la “dovuta” superficialita .

Certo, da circa una decina d’anni c’è stata una piccola ma significativa inversione di tendenza, soprattutto per merito della Società Dante Alighieri per quanto concerne la lingua e una diversa visione da parte delle istituzioni italiane presenti nel territorio, ma fa un certo dispiacere vedere come tanti figli e nipoti dei nostri emigranti non portino più ormai nessuna traccia della loro origine.

Borges ha detto come il sangue di un argentino sia un cocktail unico al mondo. E questo è dimostrato ampiamente soprattutto dalla curiosa osmosi razziale che si è qui generata dove etnie che in altre parti del mondo si guardavano in cagnesco hanno saputo fondersi e collaborare reciprocamente , spinte dalle miserrime condizioni in cui sopraggiungevano al Rio Della Plata .

Argentina, figlia, come molte altre nazioni Latino-Americane, di quella spinta rivoluzionaria data dall’Illuminismo e la Rivoluzione Francese, che proprio in quella parte del mondo attaverso l’azione di “liberatori” del calibro di San Martin, Bolivar, Belgrano, militari ma permeati da questi ideali (e anche legati alla Massoneria, cosa comune per tutti gli “spiriti liberi” del tempo) seppero costruire Nazioni che hanno portato i principi illuministi a non essere lettera morta, ma a divenire le basi di uno sviluppo che a un certo punto ha permesso di raggiungere un grado di civiltà superiore al vecchio mondo .

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Ed è proprio in Argentina che queste cose si sono sviluppate in modo profondo, tanto che dopo un iniziale periodo dove l’immigrazione venne sfruttata in modo ignobile (principalmente verso la fine dell’800 e il principio del secolo sucessivo) le altre ondate hanno portato verso una conquista di diritti che si sono concretizzati nel periodo peronista (come l’estensione del voto alle donne e l’istruzione obligatoria e laica) anche se concepiti e portati avanti dal socialista Palacios.

 

Ma, come scrivevo sopra, la storia Argentina è stata molte volte un’altalenarsi di contraddizioni spesso a noi indecifrabili che hanno portato il Paese a essere governato con bagni di sangue. E non mi riferisco solo alla figura dell’ottocentesco dittatore Rosas, ma sopratutto nel secolo scorso, con l’ascesa al potere di un dittatore (Peron) appoggiato dalla classe operaia e l’inizio di una contrapposizione politica tra peronismo e radicalismo che ha avuto come “arbitro” il potere militare sorretto da multinazionali e potenze straniere che vedevano lo sviluppo argentino come un fenomeno pericoloso non solo a livello di sfruttamento delle risorse energetiche del Paese ma sopratutto a livello di pensiero.

 

Difatti la formazione di una generazione dotata di un’istruzione decisamente superiore e oltretutto laica ha fornito il la a una repressione che ha generato non solo colpi di Stato ma soprattutto l’ignobile pagina di storia che ha portato al potere uno dei più biechi regimi militari della storia, protagonista di un processo di eliminazione fisica di massa conosciuto sotto il nome di “Desaparecidos”.

 

Nello stesso periodo in Italia la guerriglia veniva affrontata e sconfitta, ma come diceva il compianto generale Della Chiesa “una Democrazia può e deve sconfiggere un nemico ma nel massimo rispetto dei propri principi”. Peccato che a Buenos Aires e dintorni questi ultimi fossero ben lontani da quelli che ispirarono i “Libertadores”.

 

Poi gli anni Ottanta e il ritorno alla Democrazia attraverso una figura, quella del Radicale Raul Alfonsin, molto coraggiosa e con un programma ben definito ma che purtroppo aveva due punti deboli, anzi tre: un potere militare ancora forte, una disastrosa situazione economica ereditata e sopratutto, come anni prima era successo a un’altro Presidente, sempre Radicale e mio omonimo (Arturo Illia) un’opinione pubblica che non lo appoggiò mai chiaramente, anzi spesso lo contestò come mai era suceso con i militari.

 

Le sirene del peronismo, della demagogia populista e di un ritorno a una passata grandezza (figlia di un’economia forte e quasi monopolista sull’esportazione della carne a un’Europa affamata e distrutta) furono più forti di un logico pensiero. E allora ecco alternarsi al potere il peronista Carlos Saul Menem, Governatore della provincia di la Rioja, con un programma che promette il ritorno alla passata grandezza e una “dolcevita” generale.

 

In effetti una delle prime manovre del suo Ministro dell’Economia , Domingo Cavallo, è quella della parità (fittizia) tra peso e dollaro e tutta una serie di privatizazzioni che sono una manna per le multinazionali. La parità cambiaria innesca una corsa quasi disperata ai consumi, tanto che le famiglie si indebitano con il sistema delle rate sulle carte di credito pur di non lasciarsi sfuggire nulla: si arriva al colmo di voli per Miami stracolmi dove frotte di argentini invadono la città della Florida trattata alla stregua di un grosso centro commerciale .

 

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Contemporaneamente Menem lancia un attacco alla cultura, tagliando fondi alla scuola, all’istruzione, alle attività culturali e inondando le case di messaggi televisivi, di starlette, di programmi spazzatura…insomma un precursore di certi politici nostrani. La gente lo vota ancora per un altro mandato, ma la politica finanziaria di Cavallo, supportata da un FMI che invece aveva osteggiato Alfonsin, rivela le sue prime crepe.

 

Il controllo totale sull’informazione e una serie di scandali aprono le porte a un cambio che si realizza nel 1999 con la conquista del potere da parte dell’Alianza, un coagulo di partiti che ingloba radicali e peronisti di sinistra. Viene nominato Presidente De la Rua radicale, persona che si rivela subito incapace di qualsiasi velleità politica ma che, come spesso capita (l’ultimo esempio è la Grecia attuale) paga il conto del decennio menemista con una situazione finanziaria disastrosa che provoca il collasso del sistema bancario e dello Stato, nell’ormai famoso dicembre del 2002.

 

La gente scende in piazza, De La Rua viene destituito, si alternano in breve tempo altri due Presidenti che però sono costretti a dimettersi e la cosa positiva è che al grido di “Que se vajan todos!” (Che se ne vadano tutti!) il popolo argentino manifesta,ma non solo: si riunisce in assemblee spontanee e discute, propone ma purtroppo alla fine (e qui emerge l’italianità) si creano divisioni che in pratica altro non fanno che rimettere in pista il vecchio potere Peronista . Il peso si svaluta di colpo ed è la fine della fiesta, o almeno l’inizio di un qualcosa di nuovo che fa rinascere settori dell’economia distrutti dal neoliberalismo Menemista anche attraverso la gestione delle fabbriche operata dalle stesse maestranze.

 

Il Peronista Nestor Kirschner viene nominato Presidente e il Paese si risolleva dalla crisi economica con tassi di crescita annua dell’8%, quindi da economia Asiatica. Ma sul territorio del potere poco o nulla cambia: dopo pochi anni già si parla di Kirchnerismo. I militari responsabili del genocidio degli anni Settanta, condonati da Menem, ritornano a essere processati, questo è vero, ma il regime che si instaura (soprattutto quando il potere viene trasmesso alla moglie, Cristina, che viene eletta nel 2007) rivela solo un arricchimento personale che non ha eguali nella breve storia democratica di questo Paese, con una gestione del potere dove chi la pensa in forma diversa, invece di essere tacciato di Comunista come da noi, viene indicato come nemico della Patria.

 

Lo scrittore Luis Majul denuncia tutto questo in un libro (“El dueno” – “Il padrone”) che è il più venduto, ma la spinta economica iniziale post-crisi del 2002 si affievolisce attraverso decisioni governative scellerate che in pratica portano l’economia a dei livelli preoccupanti e l’inflazione a raggiungere l’attuale 50% annuo. Tre anni fa l’agricoltura viene ferita al punto tale che il Paese esportatore di carne per eccellenza scivola al terzo posto: si affievolisce pure il prospero mercato della soja, che vedeva l’Argentina fornire il 18% del consumo della Cina.

 

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Attualmente si sta assistendo all’ennesima faida tra potere politico e opposizione, in verità sempre più divisa, e questo fatalmente provoca un danno notevole, ritardando sempre più le necessarie riforme. Tutte le energie sono concentrate sulle prossime elezioni politiche del 2011, per le quali il battage publicitario è appena iniziato con un raduno di massa dei Kirchneristi a Rio Grande.

 

Peccato che l’oceanica folla presente risultasse in pratica pagata a gettone di presenza. Una dimostrazione chiara che anche questa ennesima illusione sia arrivata al capolinea . Come in Italia, la gente ha bisogno di una classe politica più vicina alle sue esigenze ma, al contrario che nel nostro stivale, stanno nascendo movimenti politici nuovi, come quello del regista Pino Solanas, chiamato “Projecto Sur” che inaspettatamente si è piazzato secondo nelle elezioni provinciali che si sono svolte due anni fa .

 

Quello che auguro di cuore ai nostri “fratelli” d’oltreoceano è che ci sappiano dimostrare come la democrazia non sia un regime a cui delegare il potere, ma che va fatta crescere solo attraverso la partecipazione di tutti . L’Argentina attuale ha tutte le carte in regola per dimostrarcelo, dopo anni di sofferenze, per questo gli diciamo di cuore, “Buon compleanno!”.





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