E’ finita la primavera araba? Secondo l’onorevole Sbai del Pdl sì, anzi è cominciato il terrore arabo. La strage di cristiani copti operata ieri sera al Cairo (secondo fonti cristiane 36 morti, secondo fonti governative 25) durante una manifestazione di protesta per una chiesa cristiana data alle fiamme alcuni giorni fa, mostra una situazione che in Egitto è decisamente esplosiva. “Il massacro dei copti al Cairo è solo il sipario che cala inesorabile sulla primavera araba. Uno spettacolo agghiacciante, che ha aperto la strada all’avanzata inarrestabile dell’estremismo. Ormai la scia di sangue e di violenza non ha più fine: questo non è il mondo arabo, ma una sua deformazione becera e integralista” ha detto ancora l’onorevole Sbai. IlSussidiario.net ha chiesto a Stefano Torelli analista ed esperto della situazione araba e mediorientale, cosa stia davvero succedendo in Egitto e negli altri Paesi protagonisti delle recenti rivoluzioni.
Si è sempre detto che la rivalità tra cristiani copti e musulmani fosse frutto della politica di divisione del regime di Mubarak. Invece?
Le dinamiche di quanto successo ieri al Cairo non sono al momento del tutto chiare. Io le ho seguite in diretta alla televisione egiziana e gli stessi commentatori parlavano di dinamiche strane in quanto stava succedendo. Forse quanto accaduto ieri sera non è stato qualcosa di spontaneo, pare chiaro ci siano state delle provocazioni da parte di alcuni gruppi o di alcuni singoli appartenenti all’attuale regime militare.
Dunque ci sarebbe l’esercito dietro a queste violenze?
E’ in atto in Egitto una strumentalizzazione da molte parti per poter plasmare la situazione politica in una direzione o nell’altra e dunque si sfrutta la rivalità esistente tra copti e musulmani. E’ abbastanza evidente che quanto sta accadendo in Egitto non è, come ha detto l’onorevole Sbai, una vera primavera araba, tutt’altro. Quella che era sì una rivoluzione popolare, un malcontento, è stata piegata e strumentalizzata da parte dell’esercito e del potere militare per mettere in atto un vero colpo di Stato. Adesso siamo vicini alle elezioni di fine novembre, ma in realtà chissà se si faranno davvero. Il regime militare attualmente al potere ha tutto l’interesse che ci sia una situazione talmente caotica da giustificare il mantenimento del potere.
In tutto questo scenario che ruolo giocano i Fratelli musulmani? Dopo la caduta di Mubarak hanno rilasciato parecchie dichiarazioni di svolta in senso democratico.
In realtà la Fratellanza musulmana che esisteva ai tempi di Mubarak non esiste più. Il movimento si è spaccato in tre fazioni. I rappresentanti più importanti sono usciti dal movimento che a sua volta si è costituito in un partito politico, e da questa situazione sono nate almeno tre formazioni diverse. Esiste al momento un’ala più radicale che fa propaganda per spingere verso uno Stato maggiormente islamizzato e un’ala moderata che guarda, con tutte le specifiche del caso che esso stesso necessita, all’esempio della Turchia.
Questa spaccatura potrebbe essere un problema.
Infatti. La divisione interna ha fatto perdere peso a un movimento che in precedenza poteva raccogliere, se si fosse andati al voto, il 30% o anche più dei consensi popolari. Adesso questa forza elettorale non ha più un punto di riferimento unico e si trova dispersa e confusa. Episodi come quello di ieri sera potrebbero essere visti come manovrati anche da fazioni della fratellanza stessa.
Come giudica il ruolo dei Paesi occidentali? Hanno ignorato la reale portata di queste rivoluzioni? Che ruolo hanno, oggi, secondo lei?
Intanto bisognerebbe capire qual è la posizione occidentale: Unione Europea e Stati Uniti hanno dimostrato di essere in contraddizione tra loro stessi stessi per quanto riguarda Tunisia, Egitto, Libia anche la Siria, dove invece si assiste a un immobilismo dell’Occidente. Quando sono scoppiate le prime rivolte l’Occidente non poteva stare a guardare se non voleva essere tacciato di complicità con le repressioni allora in atto. Per questioni di necessità hanno dovuto appoggiare un cambio di regime, ma direi ci sia stata anche molta euforia eccessiva e non giustificata verso quello che veniva visto come un moto di rivoluzione popolare e che invece non del tutto è stato così.
Quali possibili sviluppi, allora?
Difficile dirlo. In Tunisia e in Egitto di fatto ci sono ancora movimenti non ben definiti da parte della società civile e dalla politica e di fatto ancora dei regimi esistenti. In Tunisia continuano quotidianamente scioperi e proteste così come in Egitto. In tutto questo scenario i Paesi occidentali sono stati prima troppo complici dei regimi che facevano del male al popolo, dopo hanno peccato almeno di ingenuità nel pensare che fatto fuori il dittatore si presentava la primavera. Invece c’è ancora molto da lavorare per arrivare a una democrazia effettiva.