Marzieh Vafamehr, attrice iraniana, è stata condannata a 90 frustate e a un anno di carcere. La autorità del paese hanno deciso di comminarle una tale pena in seguito alla denuncia, nel suo ultimo film, delle disagiate condizioni sperimentate dagli artisti della Repubblica islamica, legate alla loro quasi impossibilità di espressione. La donna era stata incarcerata a luglio in seguito alla sua comparizione in “My Teheran for Sale”. La pellicola aveva suscitato non poche polemiche in seno alle autorità conservatrici, la cui pubblicazione e diffusione era stata vietata. Era egualmente circolata in maniera illegale. Prodotta in collaborazione con l’Australia, racconta le vicende di una giovane attrice di Teheran a cui, per volere delle autorità, non è consentito di lavorare in teatro. La donna, tuttavia, riesce in ogni caso a esprimersi nella sua più grande passione, seppur è costretta a farlo in clandestinità. Il sito Kalemè ha riportato la notizia e specificato che l’avvocato della Vafamehr è intenzionato a ricorrere in appello. La donna era stata liberata su cauzione.
Un caso di discriminazione e lesione dei fondamentali diritti umani tutt’altro che isolato. E’ notizia di oggi che sarà Guida suprema della rivoluzione islamica, la maggiore autorità del Paese, l’ayatollah Khamenei, a decretare le sorti di Youcef Nadarkhani. Si tratta di un pastore protestante condannato a morte per la propria fede cristiana. L’uomo si sarebbe macchiato di uno dei reati giudicati dall’islam più gravi, l’apostasia, dal quale si convertì nel 1998, a 19. Postosi a guida di una piccola comunità protestante della provincia Gilan, secondo la sentenza di condanna avrebbe anche fatto convertire altre persone. Youcef Nadarkhani ora ha 32 anni ed è padre di due bambini. A condannarlo, è stata nel 2010 una corte di Rasht, nel nord del Paese. La comunità internazionale, in particolare Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia e Polonia, si sono mobilitati per chiedere il rispetto dei suoi diritti e bloccare la sentenza di condanna. E’ stato un tribunale di Gilan, oggi, ha stabilire che l’ultima parola sulla sua vicenda giudiziaria spetterà a Khamenei.
In suo favore si era mobilitata anche la comunità mondiale dei Bahai, religione con 7 milioni di adepti in tutto il mondo, che denunciando la «brutalità» del governo iraniano avevano sottolineto: «Tutto ciò che i rappresentanti del Paese affermano davanti al mondo è contraddetto dal modo in cui trattano il proprio popolo in patria, e tuttavia i suoi funzionari vanno liberamente in altre nazioni, dove trovano un palcoscenico dal quale essi propagano le loro falsità».