MOSCA – Mosca è irriconoscibile rispetto a dieci giorni fa. Sembra di essere tornati all’agosto 1991, quando sulle barricate all’improvviso si è trovata fianco a fianco gente di diverse generazioni, ceti sociali, retroterra culturale – in nome della verità e della bellezza molto più che della protesta e della politica. Non a caso, l’emblema di quella notte era divenuta la musica del violoncellista Mstislav Rostropovic, che aveva preso il primo aereo per tornare a Mosca e condividere insieme ai suoi concittadini quegli istanti straordinari.
La stessa atmosfera di festa ha attraversato sabato 10 dicembre piazza Bolotnaja, nel centro di Mosca. Una folla straripante, che è stata calcolata da 70mila (fonti non ufficiali della polizia) a 150mila presenze, radunata grazie al passaparola e alle reti internet. Analoghe proteste si sono svolte in una quarantina di città della Russia. Numeri assolutamente inconsueti per la protesta anti-Putin.
È stata la conclusione di una settimana di tensione, ma soprattutto di graduale presa di coscienza che nella società russa è cambiato qualcosa. Fino a lunedì o martedì, attraversando il centro di Mosca si aveva nettamente la sensazione di un braccio di ferro in atto: file interminabili di furgoni dell’esercito parcheggiati lungo la centralissima Ulica Tverskaja a presidiare la città attestavano che il regime era convinto di poter ridurre al silenzio le proteste. Centinaia di fermi e alcuni arresti. Poi, gradualmente, mentre le proteste si allargavano, foto e filmati di denuncia dei brogli si diffondevano ovunque, le autorità hanno cominciato a smussare i toni e a cercare la conciliazione. Un’ammissione di sconfitta senza precedenti negli ultimi anni.
Sabato, tra gli slogan scanditi dal palco e ripetuti dalla gente c’erano accuse («Russia senza Putin! Ladri! Corrotti! Putin vattene a casa!»), ma anche richieste e parole d’ordine: «Giustizia! Responsabilità! Libertà!». Molti gli studenti e i lavoratori tra i 20 e i 30 anni, ma anche adulti cinquantenni, piccoli imprenditori o liberi professionisti insieme ad artisti e intellettuali. Per un paese dove per decenni si è andati in manifestazione solo se precettati in fabbrica o in ufficio, è uno spettacolo inedito vedere scendere in piazza i miei colleghi del Centro culturale «Biblioteca dello Spirito», conoscenti che non ho mai visto occuparsi di politica, famiglie intere che hanno preso l’iniziativa per far vedere che oltre la Russia virtuale ne esiste un’altra, quella vera, quella che fino a qualche giorno fa non sapeva neppure lei di esistere.
I manifestanti hanno scelto come distintivo palloncini, fiori e nastrini, tutti rigorosamente di colore bianco. Non è stata una protesta, anche se la dimostrazione protestava contro falsificazioni e illegalità, ma anzitutto una festa.
E la festa è per la ritrovata dignità, per la nuova inusitata consapevolezza che le autorità non possono fare il bello e il cattivo tempo, come fino a pochissimo tempo fa tutti credevano, ma che la società, la persona possono essere protagonisti. E non è un caso che i leader della manifestazione di sabato non siano stati in primo luogo i politici: sul palco si sono succeduti uomini di spettacolo, intellettuali e scrittori come Boris Akunin e Ljudmila Ulitskaja, e il giornalista Oleg Kašin (vittima di una dura aggressione l’anno scorso), che ha letto una lettera del blogger Aleksei Naval’nyj, al momento in carcere dopo aver partecipato alla manifestazione di lunedì scorso. Intanto, tutt’intorno c’erano 50mila uomini della polizia e dell’esercito. Che per la prima volta, però, a differenza della brutalità con cui erano state bloccate le dimostrazioni dei giorni immediatamente successivi alle elezioni – sono rimasti urbanamente a guardare.
Del resto, si sente a pelle: per la prima volta Russia Unita e i suoi leader hanno smesso gli abituali toni di arroganza, assicurano che terranno conto delle critiche, del malcontento, che la voce dei dimostranti dev’essere ascoltata e le denunce di brogli prese in considerazione. Promesse per tener buoni i russi? Forse, ma certo molto dipenderà anche dalla gente.
L’euforia dell’agosto 1991 aveva lasciato il posto negli anni successivi al cinismo, allo strapotere degli oligarchi e alla stanchezza, allo scetticismo generalizzato che ha aperto, a sua volta, le porte all’autoritarismo di Putin. Sembrava impossibile smuovere il paese dalla stagnazione in cui era sprofondato, eppure domenica 4 dicembre scorso qualcosa è successo. In questi giorno la gente sembra essere divenuta consapevole che non può aspettarsi un miracolo dal leader di turno, ma che la attende un cammino – un cammino di responsabilità e di impegno. Non è un cammino facile, anche perché ci sono mille pericoli di strumentalizzazione, di provocazione sia all’estero (e Putin ha buon gioco nel tuonare contro l’America, facendo leva sull’argomento di sempre: tutti uniti contro il nemico comune), che all’interno. Perché i comunisti e la stessa «Russia giusta» (che molti reputano più a sinistra dei comunisti), non sono alternative all’autoritarismo attuale. La richiesta di elezioni oneste e di una reale democrazia è innanzitutto un impegno a non delegare la propria responsabilità a nessuno, a mettersi in cammino, a continuare la ricerca del proprio volto autentico.