IL CASO/ 2. Il fallimento culturale dietro gli sbarchi di Lampedusa
Gli sbarchi a Lampedusa di immigrati provenienti dalla Tunisia, spiega ROBI RONZA, era facilmente prevedibile, eppure ne è nata un’emergenza

Prima che una crisi politica è una crisi culturale la sgangherata gestione dell’attuale afflusso via mare, notevole ma in effetti del tutto prevedibile, di immigranti illegali provenienti dalle coste tunisine. In prima fila sul fronte dello smacco è il nostro attuale governo, ma sarebbe ingeneroso buttargli tutta la croce addosso. Così come attualmente stanno le cose nel nostro Paese, è praticamente certo che qualsiasi altro governo avrebbe fatto la medesima pessima figura o magari anche peggio.
È evidente che prima che ai vertici le carenze ricorrono ai più diversi livelli delle catene gerarchiche di cui consiste la pubblica amministrazione. È evidente che ai più diversi livelli c’è chi dovrebbe osservare e non osserva, chi dovrebbe prevedere e non prevede, chi dovrebbe avvisare e non avvisa, chi dovrebbe predisporre e non predispone.
Era ovvio che la caduta del regime di Ben Alì in Tunisia, con l’inevitabile sconquasso delle sue strutture di sicurezza, sarebbe stata vista da molti aspiranti all’esodo verso l’Italia come un’occasione da prendere al volo. Se l’esodo non è iniziato immediatamente, ciò si deve soltanto al fatto che l’esodo via mare è un’operazione relativamente complessa. Implica, tra l’altro, l’acquisto in tempi brevi di imbarcazioni in un numero tale da superare le disponibilità di un piccolo Paese come la Tunisia. Se invece di limitarsi al “colore”, i cronisti per lo più del tutto impreparati che sono stati spediti a Lampedusa facessero, tra l’altro, qualche indagine sul cosiddetto cimitero dei barconi forse ne troverebbero anche qualcuno “made in Italy”.
Essendo dunque l’eventualità dell’esodo del tutto prevedibile, sin dai primi giorni della crisi sfociata nella caduta di Ben Alì, il nostro ministero degli Esteri avrebbe dovuto usare dei suoi contatti a Tunisi per chiedere, favorire e sostenere il sistema di controllo delle coste tunisine, fatto peraltro con personale sia civile che militare spesso formato in Italia; e usare dei suoi contatti a Bruxelles per mettere in preallarme la Commissione Europea.
Il nostro ministero degli Interni, per parte sua, avrebbe dovuto comunque preparare Lampedusa all’evenienza riattivando il suo Centro di accoglienza e inviando nell’isola adeguate forze di polizia. Non a caso parlo di “evenienza” e non di “emergenza”: proprio a motivo della sua assoluta prevedibilità, infatti, il nuovo afflusso di immigranti illegali dalla Tunisia non ha nulla di emergenziale.
Viceversa, nulla è stato previsto, predisposto e preparato. Quando poi, iniziato l’afflusso di “boat people”, siamo stati ancora una volta mesti testimoni della consueta… gara d’inseguimento della presunta emergenza con ministri che fanno dichiarazioni scoordinate tra loro, aerei che volano a Lampedusa a caro prezzo (per le nostre tasche di contribuenti) a prendere gli immigranti che l’isola non sa più dove mettere, fino alla magra figura del Centro di accoglienza occupato dagli immigranti e gestito alla bell’e meglio dalle organizzazioni non governative; e con i portavoce dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati che fanno la morale al governo italiano davanti alle telecamere, sicuri che gli ignari intervistatori non domanderanno mai loro come mai l’Alto Commissariato sta a Lampedusa a fare il grillo parlante, e non invece in Tunisia a fare il suo lavoro.
L’attuale governo italiano ha insomma la sua bella parte in commedia (compreso il solito intervento della Protezione Civile nel suo ormai tradizionale e sempre più preoccupante ruolo di sostituto anomalo di un’amministrazione ordinaria dello Stato che non funziona). Però anche tutti gli altri attori non sono da meno. È, dicevamo, un fallimento culturale prima che politico: uno dei tanti frutti avvelenati di una cultura senza visione e senza respiro, e sempre meno capace di fare i conti con la realtà.
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