Caro direttore,
Volevo parlare in questo articolo del discorso sullo Stato dell’Unione del presidente Obama, ma (come mi aspettavo) non è già più al centro dell’attenzione dei media e della maggioranza degli americani (ammesso che lo sia mai stato). La grande notizia di questi giorni è la crisi in Egitto. È difficile stabilire quanto questa crisi sia materia di preoccupazione per il grande pubblico, ma lo è di certo per i media e, si può immaginare, per il governo.
Ciò che mi ha colpito di più durante i primi giorni di questa crisi è stato il quasi completo silenzio dei media sulle sue implicazioni per Israele. Quanto sta avvenendo in Egitto, si è detto, è importante per gli Stati Uniti dato il pericolo che dall’attuale confusione nasca una repubblica islamica di tipo iraniano che possa minacciare la sicurezza nazionale americana, o, altrettanto pericoloso, un governo con simpatie verso le organizzazioni terroristiche. Ma non si è detto niente sui pericoli che la situazione comporta per Israele e per l’impegno americano alla sopravvivenza di questo Paese.
Ora la situazione sta cambiando e le relazioni Usa-Israele vengono considerate come un fattore importante nel determinare la risposta americana alla crisi egiziana.
A quanto pare, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ordinato al governo di non commentare quanto sta avvenendo in Egitto. Sotto la presidenza di Hosni Mubarak, l’Egitto ha concorso a porre pressione su Hamas dai suoi confini con la Striscia di Gaza, ha incoraggiato i colloqui con i palestinesi, ha cercato di contrastare l’Iran e rifornito Israele per il 40 per cento del suo gas naturale.
Secondo il Time, “la posizione di Mubarak nei confronti di Israele è servita a frenare gli altri Stati arabi, per non parlare degli 80 milioni di egiziani le cui opinioni su Israele sono, secondo i sondaggi, tra le più negative nel mondo”.
Elu Shaked, già ambasciatore di Israele in Egitto, afferma che “qualunque sia il governo che può emergere da queste storiche manifestazioni, populista, islamico o di unità nazionale, non vi è dubbio che il nuovo regime cercherà di assestare un aperto colpo alla pace con Israele. Gli unici che in Egitto sono impegnati nella pace con Israele sono nella cerchia attorno a Mubarak”.
Israele ha accolto bene la nomina da parte di Mubarak del capo dell’intelligence, Omar Suleiman, come suo vicepresidente, il primo da quando è al potere, dato che il capo dei servizi segreti, ed ex generale, visita regolarmente Israele per consultarsi con funzionari del ministero della difesa e dei servizi segreti sui molti temi in comune tra i due Paesi. “Egitto e Israele hanno comuni interessi strategici. Sarebbe troppo dire che sono alleati, ma non sono in guerra” dice Shlomo Avineri, docente di Scienze politiche alla Hebrew University di Gerusalemme. “E’ il principale Stato arabo e nessun altro Paese andrebbe in guerra senza l’Egitto”.
Gli israeliani temono particolarmente l’ascesa dei Fratelli Musulmani, l’opposizione politica più organizzata in Egitto, che negli ultimi decenni ha assunto posizioni più conservatrici e religiose, come molte altre associazioni arabe.
Secondo il Time, “La stampa israeliana descrive un fine settimana contrassegnato da frenetici incontri ai livelli alti del governo. L’esercito israeliano, che ha concentrato la sua attenzione sui confini con il Libano e Gaza, si dice stia preparando un ridispiegamento delle forze al sud, dove Israele ha già combattuto quattro guerre contro l’Egitto. Nei documenti della diplomazia americana pubblicati lo scorso anno da Wikileaks vi erano lamentele dei diplomatici per il fatto che ambienti militari egiziani continuavano a considerare Israele il principale nemico e si preparavano a una guerra nel Deserto del Sinai, che è tra i due Paesi”.
Nessuno può pretendere di conoscere le implicazioni di questa situazione.
Dopo la firma di un trattato di pace da parte dell’Egitto, la stessa cosa è stata fatta dalla Giordania e poi dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Nel tempo, la Lega Araba è passata dalla chiamata alle armi contro Israele alla formulazione, nel 2002, di un piano basato sull’esistenza di due Stati per chiudere il conflitto israelo-palestinese.
“Sì, siamo estremamente preoccupati per la situazione” dice in privato un generale israeliano. La situazione quindi rimane molto fluida e così pure la reazione dell’Amministrazione Obama.
In questi giorni non ho potuto fare a meno di pensare che l’avvenimento più importante quest’anno al Cairo non aveva avuto nulla a che fare con le rivolte popolari. Ho in mente il “mini (Rimini) Meeting” che vi ha avuto luogo, dove chi veniva da Rimini ha visto in ciò che succedeva al Cairo una chiara dimostrazione della presenza di Cristo e dell’attrattiva di questa Presenza per tutti, qualunque siano la loro cultura e la loro ricerca religiosa. Io non so quando e dove, ma sono sicuro che questa Presenza e la sua attrattiva daranno forma al futuro dell’Egitto più di qualsiasi cosa stia avvenendo in questi giorni.