REFERENDUM SCOZIA/ Una grande lezione di federalismo a Monti e alla Lega
Il referendum del 2014 in Scozia chiederà agli elettori se desiderano restare nell’Unione, che dura da oltre tre secoli, insieme con l’Inghilterra. Il commento di PAOLO GULISANO

Nel 1707 la Scozia, attraverso l’Atto di Unione approvato dai Parlamenti inglese e scozzese, cessava di essere una nazione libera ed indipendente. A partire dal 1 marzo di quell’anno, definito dai patrioti scozzesi annus horribilis, l’intera isola britannica ricadde sotto un unico governo, quello di Londra.
Uno degli uomini che più strenuamente si era battuto contro l’Atto era Andrew Fletcher di Saltoun (1653-1716), avvocato dei diritti e delle libertà del suo popolo, parlamentare, esule. Nel momento più oscuro della storia della nazione, in cui essa stessa, per volontà della maggioranza dei propri rappresentanti politici e dell’aristocrazia, rinunciava alla propria libertà consegnandola agli inglesi in cambio di vantaggi economici – peraltro riservati ad una ristretta oligarchia – e della garanzia che sarebbero stati mantenuti gli assetti civili e religiosi determinati dalla Rivoluzione del XVII secolo e dalla Riforma protestante, Fletcher lasciò una dichiarazione che all’epoca poteva sembrare un sentimentale attaccamento alla tradizione e ad un glorioso passato ormai tramontato, e che oggi, in anni che hanno visto il ritorno come protagoniste della storia le piccole patrie, tra le quali la stessa Scozia, assume invece una dimensione quasi profetica: “sono le ballate, e non le leggi, a costruire una nazione”. Le ballate: non già un’espressione intellettuale, ma la memoria tenace delle leggende, della storia mitica e di quella reale, che ha accompagnato i popoli europei nella loro storia millenaria.
E’ questo un aspetto non trascurabile della richiesta, da parte dello Scottish National Party, il movimento politico indipendentista scozzese che possiede la maggioranza nel Parlamento di Edimburgo, di far svolgere il referendum con cui scegliere se restare parte del Regno Unito o tornare ad essere, dopo 300 anni, una nazione indipendente, pur nell’ambito del Commonwealth, nel 2014, in occasione del 700° anniversario della Battaglia di Bannockburn, con cui Re Robert Bruce strappò sul campo agli inglesi il diritto alla libertà.
Fu un evento che un inglese come Gilbert Keith Chesterton (che peraltro aveva da parte materna origini scozzesi) celebrò nella sua A Short History of England: “La Scozia resistette, e le avventure di un cavaliere di nome William Wallace ben presto dovevano dotare questa forza di certe leggende che sono molto più importanti della stessa storia. Fu allora che i preti cattolici della Scozia diventarono il partito patriottico e anti-inglese; atteggiamento che poi dovevano conservare anche durante tutta la Riforma. Wallace fu preso e giustiziato, ma il ferro era già rovente sul fuoco. L’adesione alla nuova causa nazionale da parte di uno dei cavalieri di Edoardo, Bruce, non apparve al vecchio sovrano che come una semplice ribellione di natura feudale. Egli si spense, con l’ultima sua scintilla di furore, alla testa di un nuovo esercito invasore sui confini della Scozia; con le sue ultime parole il grande re comandò che le sue ossa venissero trasportate sulle linee di battaglia. Erano gigantesche le sue ossa, e quando infine furono seppellite, sopra venne apposto il seguente epitaffio: ‘Qui giace Edoardo il Grosso, che fu il martello degli scozzesi’. Era un epitaffio che diceva il vero, ma in un senso opposto alla sua intenzione: Edoardo fu il martello degli scozzesi, non perché li schiacciò, ma perchè li fece. In effetti, egli li percosse sull’incudine e li forgiò a guisa di spada“.
L’identità scozzese fu forgiata nella sofferenza, nella lotta contro il potente nemico, e dopo secoli non è anacronistico parlare di identità scozzese, che non è solo folklore, kilt o whisky, ma un sentimento profondo. Se ne sono accorti anche gli altri britannici.
Identità, nei tempi della globalizzazione, significa riconoscere un’origine, delle radici, e un destino, un obiettivo. In questo senso la battaglia civile e pacifica della Scozia per il diritto all’autodeterminazione è una pagina significativa della politica nella sua espressione più alta e nobile. Non è un caso che il leader del partito indipendentista non abbia nulla di carismatico, di tribunizio: è un rappresentante della propria comunità che cerca di ottenere il meglio per essa. Un grande insegnamento.
E infine, è da sottolineare anche l’atteggiamento democratico dell’Inghilterra, l’assenza di un nazionalismo esasperato che cerchi di bloccare questo naturale svolgimento degli eventi storici. Una bella differenza con il nazionalismo a volte quasi isterico con il quale in questi anni in Italia si è risposto alle istanze federaliste di diverse regioni. Ora dunque non resta che attendere il 2014, il ricordo delle imprese di Bruce e dei suoi Highlanders, e vedere se il referendum sancirà il ritorno della Scozia tra le nazioni libere.
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