INDIA/ Ecco perché l’arresto dei marò viola il diritto internazionale
Secondo ENZO CANNIZZARO, i due soldati arrestati stavano agendo nell’esercizio delle loro funzioni e, di conseguenza, non sono processabili da uno stato straniero

La vicenda sta assumendo contorni a tal punto intricati da essersi reso necessario l’intervento del presidente del Consiglio in persona. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori lo scorso 15 febbraio, sono in un carcere di Trivandrum (India) dal 6 febbraio, dove resteranno per 14 giorni, al termine dei quali compariranno di fronte alla Corte. Il premier ha contatto il suo omologo indiano, Manmohan Singh, per ribadire, anzitutto, che in virtù del loro status non dovrebbero essere trattati come delinquenti comuni. E che, quindi, non dovrebbero stare in carcere. Monti ha fatto presente, inoltre, che adottare un atteggiamento «non pienamente in linea con il diritto internazionale rischierebbe di creare un pericoloso precedente in materia di missioni internazionali di pace e di contrasto alla pirateria». Detto ciò gli ha ricordato che, essendo il fatto imputato ai due fucilieri del reggimento San Marco accaduto in acque internazionali, deve essere applicata la legge italiana, come italiana era la bandiera battuta dalla Enrica Lexie sulla quale si trovavano i marò. Il governo indiano, dal canto suo, aveva fatto presente, poche ore prima della chiamata di Monti, che non riconosce alcuna legittimità all’accordo che garantisce ai militari utilizzati sulle navi in funzione antipirateria alcuna immunità. Chi ha ragione? IlSussidiario.net lo ha chiesto a Enzo Cannizzaro, docente di Diritto internazionale nell’Università di Roma La Sapienza. «I due soldati – afferma – sono organi dello Stato italiano che hanno agito nell’esercizio delle loro funzioni. Di conseguenza, la loro azione, secondo un principio di Diritto internazionale antichissimo, non può essere imputata loro personalmente, ma deve esserlo allo Stato italiano». Il perché di una tale disciplina è presto detto: «Per intenderci, se così non fosse, qualunque soldato che, in battaglia, uccidesse, potrebbe essere imputato di omicidio, pur avendo agito per conto dello Sato nell’ambito delle proprie mansioni ufficiali».
Quindi: «un eventuale illecito compiuto da un soldato non può essere imputato direttamente a lui nell’ambito del diritto penale di uno Stato, ma va imputato all’Italia nell’ambito del Diritto internazionale». Cosa che l’India non sta facendo: «non sta riconoscendo il diritto della cosiddetta immunità funzionale». Non significa che i soldati godano di immunità in senso tecnico: «Se avessero, infatti, violato gli ordini e le regole d’ingaggio sarebbero chiamati a risponderne. Ma pur sempre nella propria giurisdizione». La regola in questione «è di carattere consuetudinario, accertata attraverso una prassi secolare. La Commissione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare ha, inoltre, sancito il diritto di applicare sulle navi, se si trovano in acque internazionali, la giurisdizione dello stato di cui battono bandiera». Se anche il fatto fosse avvenuto all’interno delle acque territoriali, per i soldati dovrebbe cambiare ben poco. «L’immunità funzionale va, in ogni caso, riconosciuta. Se, tuttavia, in tal caso vi possano essere minimi dubbi e margini per una controversia, è cosa certa che va applicata senza discutere in acque internazionali».
La tradizione legislativa in tal senso è conclamata a tal punto da lasciare interdetti circa l’atteggiamento indiano. «Esso è verosimilmente indotto – ipotizza il professore – da motivi politici, analoghi a quelli che condussero l’opinione pubblica italiana a chiedere di processare Mario Lozano (il militare Usa che, sparando, uccise Nicola Calipari in Iraq in circostanze mai del tutto chiarite, ndr). E’ probabile, quindi, che l’India possa rispondere a preoccupazioni relative al sentimento popolare o a ragioni di politica interna».
Non è detto che l’Italia debba starsene con le mani in mano. «Essendo un illecito internazionale, l’Italia può adottare contromisure come il congelamento dei trattati o il ritiro dell’ambasciatore». E’ improbabile, invece, nonché estremamente difficile individuare un tribunale che abbia competenza in materia. «La Corte di Giustizia non ce l’ha; per quanto riguarda, invece, il Tribunale internazionale dei diritti del mare, la questione è estremamente complicata e andrebbe studiata come si deve».
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