L’inviato dell’Onu, Lakhdar Brahimi, ha dichiarato che la situazione in Siria si sta deteriorando rapidamente e rischia di precipitare se non si troverà una soluzione politica al conflitto. I rapporti di forza sul piano militare continuano a evolvere rapidamente, al punto che secondo Brahimi se il conflitto dovesse durare per un altro anno i morti potrebbero salire a 100mila. Ilsussidiario.net ha intervistato Camille Eid, cristiano libanese, giornalista di Avvenire e professore dell’Università Cattolica.
Per quale motivo i colloqui di pace tra opposizione e regime siriano non riescono a decollare?
Il capo della coalizione dell’opposizione siriana ha dichiarato di essere disponibile ad accettare dei colloqui, ma non con Assad che “si è macchiato le mani di sangue” dopo 50mila morti dall’inizio del conflitto. E’ quindi rimasto il nodo del dopo regime. La soluzione proposta da Brahimi a Damasco nel corso dell’ultima settimana prevedeva una fase di transizione con la formazione di un governo esecutivo dotato di pieni poteri e rappresentativo delle due parti, ma senza Assad. Brahimi è quindi andato a Mosca per rendere nota questa sua proposta.
Con quali risultati?
La questione dei colloqui è rimasta ferma alla stessa situazione di prima. I russi hanno invitato il capo dell’opposizione Moaz al Khatib a partecipare ai colloqui di pace, ma si sono visti opporre un rifiuto categorico. Khatib ha infatti spiegato di volere i colloqui, ma non con Assad.
Per Teheran occorrono elezioni libere, perché in Siria le violenze sarebbero la conseguenza del sostegno dell’Occidente agli interessi israeliani. Lei che cosa ne pensa?
E’ una dichiarazione ideologica. Per il ministro degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, i colloqui devono essere il risultato di elezioni democratiche, ma in realtà le trattative di pace non possono attendere i risultati del voto. Prima occorre che ci siano il cessate il fuoco e il governo di transizione, e solo in seguito possono tenersi delle elezioni. Tanto nel piano di Brahimi quanto in quello di Ginevra si parla di elezioni legislative o presidenziali in seguito alla formazione di un governo di transizione. Non vedo quindi un chiaro piano iraniano. La realtà è che Teheran, così come Mosca, sta cercando di tenere i piedi in due scarpe perché vede che i suoi interessi in Siria sono minacciati. Cercano quindi di battere sulla corda del dialogo con l’opposizione, perché sanno che se scommettono tutto su Assad e questo cade, perderanno tutti i loro interessi nella zona.
Eppure tutte le minoranze religiose continuano ad appoggiare Assad …
Gli alawiti sono il 12 per cento della popolazione siriana, e se anche li sommiamo a una parte di drusi, di cristiani e degli stessi sunniti, non arriveremo mai ad avere una maggioranza schierata a favore di Assad. E’ un dramma che negli ultimi mesi la rivoluzione siriana si sia trasformata, anche a detta di molte Ong, in una guerra confessionale. Si sono verificati diversi attacchi a quartieri sunniti o alawiti per motivi religiosi. Il regime siriano ha cercato di aizzare questi sentimenti religiosi perché in questo vede la sua protezione. Assad però è ormai finito, è stato abbandonato dalla cerchia dei suoi più stretti collaboratori e dall’inizio della rivoluzione circa 1.500 generali siriani sono fuggiti in Giordania o in Turchia. Un regime così è destinato a crollare dall’interno, e mi chiedo se Cina, Russia e Iran non abbiano niente di meglio di Assad nel Partito Baath o nella nomenclatura del regime.
Fino a che punto quella contro Assad è una guerra per la democrazia, e fino a che punto è un capitolo nel conflitto tra sunniti e sciiti in tutto il Medio Oriente?
Anch’io temo che la nuova Siria sarà ostile all’intero mondo sciita e allo stesso Iran. Questo non agevola un clima di concordia in una zona che è già soggetta a questi conflitti. In Iraq negli ultimi giorni abbiamo assistito a manifestazioni della popolazione sunnita contro il governo centrale di Baghdad che è ritenuto troppo filo sciita. In Libano la popolazione è spaccata tra una coalizione guidata dai sunniti e un’altra guidata dagli sciiti delle milizie di Hezbollah e Amal. Non vorrei quindi vedere anche in Siria un clima di questo tipo, con il prevalere della spaccatura interna e alla fine della guerra civile su base confessionale.
Fino a che punto lo scontro in tutto il Medio Oriente tra sunniti e sciiti è una realtà?
E’ una realtà quella che vede l’intera regione dirigersi verso un bipolarismo, l’asse sciita e quello sunnita, ma questo non divide il Medio Oriente in due fronti opposti, bensì i singoli Stati. Esistono infatti minoranze sciite in tutti i Paesi a maggioranza sunnita, come Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi e Turchia. Viceversa esistono minoranze sunnite in tutti i Paesi a maggioranza sciita, come Iran e Iraq. Per questo concepire una guerra finale tra i due principali rami dell’islam comporterebbe una visione veramente apocalittica del futuro della zona. La mia speranza è quindi che nei prossimi due mesi si trovi una soluzione politica per la Siria, che eviti a un Paese così centrale con moltissimi Stati confinanti di giocare il ruolo di detonatore di questo conflitto.
(Pietro Vernizzi)