DIARIO SUD SUDAN/ La pioggia che salva dalla guerra
E’ la carestia più grave al mondo, ma nessuno ne parla più. “A febbraio 2015 forse le UN di nuovo annunceranno che la crisi alimentare si è aggravata”. Dal sud Sudan, ANNA SAMBO

Stamattina piove. Piove da due ore almeno e io felice della frescura e del poter riposare.
Ieri sera Matteo, un collega, mi racconta: a Yrol il Cuamm sta per chiudere l’ospedale perché non arriva nulla, benzina, cibo, tutto ciò che serve per lavorare. Medicine, equipaggiamenti. Nulla, chiudono. E noi, mi dice, dobbiamo far arrivare tutto con aerei, elicotteri, a volte portiamo su (nella regione dei Lakes, dove anche noi di Fondazione AVSI abbiamo un progetto) la roba con la macchina perché i camion non riescono a passare, nel fango, nell’acqua dei fiumi che ora esondano per le piogge, da mesi. Le macchine riescono a passare, anche se l’acqua arriva a metà finestrino. La macchina va sott’acqua.
Le piogge non smettono.
E Matteo mi dice che il Commissario della zona ha detto che il Governo non sistema le strade perché ha paura che se le strade sono buone, i Nuer si spostano, e ricomincia di nuovo la guerra ovunque. Mi dice: hanno paura che arrivino i Nuer. Io non gli chiedo dove, ma penso a Juba. Ognuno si immagina di nuovo la guerra vicina, fuori dalla porta di casa. Ad un anno da quello che è successo a dicembre 2013. La guerra, un fantasma. Di Sud Sudan non si parla più.
Qualcuno del World Food Programme ci dice che a febbraio 2015 forse le Nazioni Unite di nuovo annunceranno che la crisi alimentare, la carestia, si è aggravata. Oggi è la più grave nel mondo. Qualcuno che ha lavorato per il WFP se ne va, per paura di essere accusato di non aver fatto abbastanza.
Ci proviamo, parliamo sempre dei bambini malnutriti, li abbiamo in testa e davanti agli occhi. Ieri una nuova amica collega di AVSI mi dice che ha trovato due gemelli di qualche mese: sono fortissimi, mi dice. Ma la mamma è morta e la nonna non li vuole allattare.
Nessuno fa nulla. Stanno lì. I vicini gli hanno comprato qualche scatola di latte. Ma ne hanno bisogno, di più, mi dice Maria Elena. Non sa che fare, arrivata da due settimane, ma già conosce cosa c’è qui. Un popolo – dei gemelli – dimenticato da se stesso e dagli altri e meno male che piove, almeno.
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