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Home » Esteri » Usa » ESECUZIONE OKLAHOMA/ Dopo l’uccisione dell’umano c’è ancora una speranza

  • Usa
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ESECUZIONE OKLAHOMA/ Dopo l’uccisione dell’umano c’è ancora una speranza

Clayton Lockett è stato ucciso dagli Stati Uniti, morendo dopo oltre quaranta minuti di agonia straziante. La pena di morte torna a far discutere. RIRO MANISCALCO

Riro Maniscalco
Pubblicato 2 Maggio 2014
statiuniti_protesta_penadimorteR439

foto Infophoto

NEW YORK – Per oltre quaranta minuti Clayton Lockett ha sofferto le pene dell’inferno su questa terra. Gli ultimi suoi quaranta minuti sono stati tanto crudeli con lui quanto lui lo era stato con la sua vittima. Condannato a morte per averla sepolta viva. L’esecuzione non è andata per il verso giusto e l’iniezione letale che doveva portarselo via quietamente lo ha trascinato attraverso una interminabile agonia. Qualcosa è andato storto. Terribilmente storto. Lockett doveva andarsene in silenzio, punito “retributivamente” per l’atroce crimine commesso, ignorato dal mondo come lo era stato per tutti i suoi trentotto anni di vita.


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Siamo in Oklahoma, “the buckle of the Bible belt”, nel bel mezzo di quel che è tuttora il cuore dell’America protestante, una immaginaria cintura che abbraccia la pancia degli States dall’ovest all’est. Li c’è l’Oklahoma, la terra rossa dei “Sooners”, i coloni che la occuparono nel 1889, prendendosi ognuno il pezzo di terra su cui arrivava per primo. La prima volta che ci andai degli amici mi portarono “a sparare”. Era il loro passatempo domenicale preferito. 


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Con malcelata vergogna oggi tutta la stampa americana parla di Clayton Lockett e della sua Oklahoma. Ma la vergogna è solo legata al fatto che il togliere la vita questa volta abbia mostrato un volto che nessuno vorrebbe vedere. Bisogna rivedere “le procedure”, bisogna evitare esecuzioni “disumane”. Ovvia la premessa: una esecuzione può essere “umana”. Sono 32 gli Stati della federazione in cui la pena capitale è ancora in vigore. Anche la liberalissima California fa parte di questo drappello, mentre lo stato di New York nè è uscito da soli 7 anni. A noi europei sembra barbarie pura, e se si dà un’occhiata all’elenco dei paesi in cui l’esecuzione capitale è ancora in vigore questo pensiero si conferma. 


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Ma in America la pena di morte non è mai messa in discussione. Nè da Mary Fallin, governatore repubblicano dell’Oklahoma, nè dai democratici. Non la mette in discussione neanche il nostro presidente progressista e libertario, che si è limitato a sottolineare che no, certi errori di procedura non si devono fare perché bisogna uccidere umanamente. Che è una bella contradictio in terminis che andiamo ad aggiungere alla lungua lista delle contraddizioni americane. Uccidere per far giustizia è una bella pretesa, un’altra conseguenza – in questo caso tragica – dell’irruenza di chi vuol sistemare tutto e subito. Esattamente come nel caso di Donald Sterling, il proprietario dei Los Angeles Clippers, vecchio, ignorante e razzista, cui toglierebbero anche le mutande per due fesserie da amante geloso dette al telefono. Eliminiamo “il male” sradicandolo. Come se ne fossimo capaci.

Ho già detto altre volte che in questo dibattito vita-morte, bene-male mi hanno sempre fatto impazzire quelli che riescono ad essere allo stesso tempo feroci oppositori dell’aborto e paladini della pena di morte. Compresi tanti cattolici. Ma ieri, leggendo di Lockett, mi è tornata alla mente una conversazione avuta anni fa con un importante professore universitario, docente di legge, e pure cattolico. Famoso – più di me… − grande di età – più di me… e molto più “cattolicamente catechizzato” di me. La conversazione, che si era presto infiammata, verteva proprio su questa contraddizione: come si fa a combattere l’aborto ed essere a favore della pena di morte? Dopo esserci rimbalzati per un po’ tesi e controtesi – ognuno convinto delle sue – ormai a corto di argomenti il Professore mi fa, “…e poi cosa sono una manciata di pene capitali rispetto ad oltre un milione di aborti all’anno?”

M’è venuto un tuffo al cuore, un dolore profondo ed allo stesso tempo una profonda tenerezza. L’ho guardato come m’ero sentito guardato io tanti anni prima nei chiostri della Cattolica, e gli ho detto: “Ma scusa, una vita, una sola vita non vale più di tutte le stelle del cielo?” Lui si ferma, tace per un momento, mi guarda e sussurra, “Hai ragione, è vero”.

C’è ancora speranza, nel mare delle contraddizioni che ci disorientano. C’è ancora speranza. Occorre continuare a testimoniare la verità. Un cuore giovane può riconoscerla. 

God bless America.


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