“È stato Francoise (Hollande, ndr) a spingermi ad accettare un difficile compromesso”, ha dichiarato il primo ministro Alexis Tsipras, ieri nel corso della conferenza stampa congiunta con il Presidente francese. I greci ringraziano, perché stando a questa dichiarazione il loro destino è stato plasmato da uno “straniero”. Il poco esperto Tsipras – in vena di piaggerie – poteva risparmiarsi questa considerazione, sosteneva una fonte diplomatica. Quando saranno trascorsi alcuni mesi sapremo come realmente si sono svolti i fatti – e già escono le prime rivelazioni.
Giovedì, Monsieur Hollande è arrivato ad Atene, accolto con tutti gli onori. Nelle intenzioni del governo ellenico questa visita doveva risaldare i già stretti legami tra i due paesi, riavvicinare la Grecia all’Europa, ma soprattutto creare le condizioni per gli imprenditori francesi interessati ad alcuni asset ellenici. Da parte sua Monsieur Hollande ha ribadito il suo ruolo nelle difficili trattative di luglio, si è dichiarato a favore di una discussione sul debito pubblico di Atene, ma, ha aggiunto, a condizione che la Grecia si attenga al dettato del Memorandum 3 e che avvii delle serie riforme.
Fin qui come da copione. A rovinare la festa ad Alexis Tsipras si sono alleati un tempo piovoso e lo sciopero dei giornalisti dei canali televisivi privati, in compagnia dell’agenzia di stampa nazionale Amna e della rete televisiva pubblica Ert. Quindi niente copertura televisiva. Un grosso smacco per la visibilità. Non è la prima volta che la tv pubblica applica questo metodo. Era già successo con Antonis Samaras – nei giorni in cui era programmato un delicato incontro con Frau Merkel. L’allora primo ministro appena ritornato ad Atene pensò bene di vendicarsi: chiuse i battenti della televisione di Stato e mandò tutti a casa. Si gridò allo scandalo, soprattutto da parte di Syriza, allora all’opposizione. La sua riapertura fu una delle poche iniziative che fece il primo governo Tsipras.
La coazione a ripetere, cioè a entrare in sciopero, dopo sette mesi di “pace sociale”, resta ancora l’arma, ormai spuntata, di diverse categorie. Quello di ieri dei giornalisti non aveva alcun senso, se si considera che stavano protestando anche per il progetto di legge presentato dal governo in cui si regolamenta, per la prima volta, il sistema televisivo del Paese, cresciuto nell’anarchia più assoluta. Che cosa prevede? Che i canali televisivi paghino per l’uso delle frequenze, che ci sia trasparenza nell’assetto societario per limitare i conflitti di interessi e che onorino i debiti verso le banche. Ma tant’è. Nessuno ha ancora realizzato che lo sciopero non ha più alcun mordente nei confronti del governo. Queste le condizioni poste dai creditori e queste le leggi che vanno votate e applicate. Eppure, a breve sarà la volta dei farmacisti, poi degli agricoltori e poi ancora degli impiegati pubblici. Infine, si prevede la protesta di quei settori che finora agiscono in regime di monopolio.
Con la prima legge, da poco approvata, sono state varate alcune riforme e diversi tagli. A novembre sarà la volta di un’altra legge che interverrà sul sistema pensionistico e sul mercato del lavoro. Sarà la seconda legge “lacrime e sangue” contenente i “prerequisiti” per mettere in moto il piano di finanziamento. Ma scioperi e proteste suggeriscono che il clima politico sta cambiando velocemente. I greci stanno mettendo le mani nel portafoglio e iniziano a fare un bagno di realismo, anche perché il governo continua a imporre nuove gabelle e a mantenere il capital controls che dovrebbe essere abolito nella seconda metà del 2016. Ad esempio sulle macchine di nuova tecnologia che dovranno quest’anno pagare la tassa di circolazione, oppure il 13% di Iva per le scuole private.
Il governo aveva promesso che non avrebbe applicato questa tassa. Ma poi ha cambiato idea, adducendo giustificazioni piuttosto malandrine. Un deputato “syrizeo”: “Questa tassa non va a colpire gli elettori del nostro partito”. Il ministro dell’educazione: “Chi invia i figli alla scuola privata è un benestante, quindi fa una scelta. Noi sosteniamo la scuola pubblica”. Si è dimenticato di aggiungere che più della metà dei ministri mandano i loro figli alle scuole private, compreso Tsipras, e che la scuola pubblica è in un costante stato comatoso e che per un genitore responsabile del futuro del proprio figlio, la scelta di una scuola privata è quasi un “dovere”.
Qualcuno inizia a chiedersi se questo programma avrà successo oppure sarà un fallimento. Finora si è scelto di tassare ulteriormente i pensionati e gli stipendiati, non si è fatto ancora nulla nella lotta all’evasione e all’irrigidimento nel controllo dei liberi professionisti, i campioni dell’evasione. Come se non bastasse, il governo ha chiesto la testa del responsabile dell’ufficio delle entrate – un organo formalmente indipendente – sostenendo che non ha compiuto il suo dovere nella raccolta delle tasse e nella lotta all’evasione. Ma nello stesso modo aveva agito il precedente governo. Venne sostituito da un uomo di fiducia e l’attuale “dimissionato” sostituito con un uomo di fiducia dell’attuale governo. Scelta che non è stata gradita a Bruxelles e non è un segnale positivo per la lotta all’evasione.
Da Atene ieri è partita anche la delegazione delle “istituzioni”, arrivata tre giorni fa per una prima valutazione della “road map” ateniese. Anche su questo fronte le notizie non sono positive. Le sue posizioni divergono da quelle del governo ellenico, soprattutto per le voci: limiti al pignoramento della prima casa e i crediti inesigibili. Ma Atene ribadisce che vuole una “soluzione politica”. Quale? Forse lo sapremo durante il prossimo incontro di inizio novembre.
Come sempre piove sul bagnato: la Troika chiede, Atene prima rifiuta poi è costretta a cedere. A opporre resistenza ci hanno provato prima Papandreou poi Samaras. Adesso è la volta di Tsipras, a corto di tempo e soldi, ma soprattutto a corto di strategie economiche “equivalenti” – cioè quel “programma parallelo” di cui parlava prima delle elezioni – che siano in grado di alleviare la pressione fiscale e i tagli previsti dal Memorandum 3. Albert Einstein sosteneva che ripetere sempre la stessa azione sperando ogni volta in un risultato differente è “insano”.