GUERRA ALL’ISIS/ Micalessin: la risoluzione dell’Onu? Azzerata da Arabia e Turchia

- int. Gian Micalessin

La risoluzione Onu diventa efficace solo se gli Stati interessati comunicano le transazioni sospette e se le Nazioni Unite esercitano questo potere di controllo. GIAN MICALESSIN

petrolio_giacimento_pozziR439 Giacimento di petrolio, InfoPhoto

“La via d’uscita dalla guerra siriana può arrivare grazie a un dialogo tra Assad e ribelli moderati favorito da Russia e Stati Uniti. Per raggiungere questo obiettivo è però necessario isolare le parti più estremiste, come l’alleanza islamista patrocinata da Arabia Saudita e Qatar”. Lo evidenzia Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, dopo che il consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato all’unanimità un documento che prevede delle sanzioni per quanti fanno affari con il califfato. Il testo specifica che “ogni individuo, gruppo, impresa o entità che fornisce sostegno all’Is o ad Al Qaeda è soggetto alle misure restrittive imposte dalle Nazioni Unite, tra cui il congelamento dei beni, il divieto di viaggio e l’embargo sulle armi”.

Micalessin, quanto è efficace la risoluzione dell’Onu?

Dal 1999 in poi sono state approvate ben tre risoluzioni di questo tipo, in particolare per rispondere alla minaccia di Al Qaeda. Il problema di questa risoluzione è se sarà o meno effettivamente applicata. Se gli Stati interessati comunicano le transazioni sospette agli organi preposti a controllare, e se le Nazioni Unite esercitano questo potere di controllo, la risoluzione diventa efficace, altrimenti è solo carta straccia.

Di solito quali sono i Paesi interessati da transazioni sospette?

Molto dei finanziamenti all’Isis sono passati negli anni attraverso le banche del Kuwait, Qatar, Emirati o Arabia Saudita. Ma fino a quando l’Isis non è diventato una minaccia globale, nessuno di questi Stati si è preoccupato di comunicarlo. Ancora oggi in Kuwait e in Qatar molte transazioni non sono controllate da parte delle banche.

Molti dei proventi dell’Isis sono garantiti anche dal petrolio. Chi sono i principali acquirenti?

L’Isis esporta petrolio in Turchia, dove è comprato in contanti e senza ricevuta da commercianti, e poi mescolato al greggio proveniente dal Kurdistan irakeno. Il tutto genera soldi in nero che entrano nelle casse dell’Isis: ben difficilmente una risoluzione Onu potrà fermare questi flussi. A meno ovviamente di intervenire su chi acquista il petrolio, cosa che non può avvenire senza la collaborazione del governo turco. Se infatti quest’ultimo non è implicato in questi commerci, certamente chiude un occhio su quanto sta avvenendo.

In questa vicenda qual è invece il ruolo dell’Arabia Saudita?

L’Arabia Saudita, comprendendo che il bluff è ormai scoperto, ha creato una sua coalizione con cui vuole intervenire autonomamente all’interno del conflitto siriano per appoggiare i gruppi jihadisti, pur dicendo di volere combattere contro l’Isis. L’Arabia Saudita continua a essere lo sponsor dei movimenti jihadisti di ispirazione qaedista. La situazione quindi è molto complessa.

La tensione tra Russia e Turchia continuerà ancora a lungo?

La Russia vuole dare una lezione alla Turchia, per dimostrare che chi tocca le truppe di Mosca poi deve pentirsi dei suoi errori. Ankara da questo punto di vista ha solo da perderci. Nel caso di un taglio delle forniture di gas, la Turchia si troverebbe nella scomoda situazione di non poter fare fronte alle sue necessità energetiche. Le batterie anti-missile della Russia inoltre sono tutte schierate intorno al confine turco.

 

Secondo lei che cosa accadrà?

La Turchia non può permettersi il lusso di inasprire il livello di scontro con la Russia né tantomeno di arrivare a un confronto diretto sul piano militare. Mi aspetto quindi un ritorno abbastanza veloce di Ankara su posizioni più prudenti. La stessa Russia continuerà ancora per un po’ questo gioco all’umiliazione di Erdogan, ma sia pure lentamente le tensioni dovranno rientrare.

 

Quale soluzione politica è possibile per la crisi siriana?

Molto dipenderà dal fatto che gli Stati Uniti capiscano che lo scopo non è rimuovere Assad, bensì creare un dialogo tra il governo di Damasco e l’opposizione moderata. Attraverso un processo politico mediato nel corso del tempo è possibile trovare una via d’uscita. Per farlo occorre isolare le parti più estremiste, come l’alleanza islamista appoggiata da Arabia Saudita e Qatar.

 

(Pietro Vernizzi)





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