RENZI IN EGITTO/ Così Obama usa l’Italia per disinnescare l’Isis
Che significato ha la presenza di Matteo Renzi a Sharm el Sheikh in occasione della conferenza economica Masr Mustaqbal (Egitto, il futuro)? GIANLUCA ANSALONE

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi è volato in Egitto per suggellare un importante appuntamento economico bilaterale a Sharm el Sheikh. Sono presenti i Ceo delle principali aziende italiane, così come i ministri dei dicasteri chiave egiziani. Al centro del Forum ci sono ovviamente le opportunità di sviluppo di un Paese che cerca una tregua sociale e politica dopo il quinquennio di turbolenze interne. Il generale al Sisi è oramai stabilmente al potere e promette di riportare l’Egitto su un percorso di crescita economica e di nuova coesione politica.
Il dato però più importante, visto dalla prospettiva italiana, sta a margine del forum imprenditoriale. E’ infatti l’agenda delle crisi a tenere banco e in particolare la complicata situazione in Libia. Nel giro di due mesi, Renzi ha avuto numerosi colloqui con il presidente egiziano. L’Italia ha scommesso su di lui e non siamo soli in questa scelta. Gli Stati Uniti, che hanno avuto verso il Cairo un atteggiamento quanto meno ondivago dal giorno della caduta di Mubarak, sono convintamente al fianco dell’ex generale oggi presidente.
Sappiamo che per trovare il bandolo dell’intricata matassa mediorientale occorre individuare almeno un punto fermo. Questo punto fermo si chiama Egitto. Al Sisi ha già condotto numerose operazioni militari oltre il confine libico per contenere l’avanzata dello stato islamico; sta appoggiando con armi e supporto tattico il generale Haftar, capo delle forze armate del Governo legittimo di Tobruk; è impegnato in prima persona a contenere le spinte islamiste nel Sinai. Ma, soprattutto, vuole imporsi come il campione di un islam laico, con una forte connotazione politica e una ridotta connotazione ideologica: il suo discorso all’Università di al Azhar rimane ad oggi l’unico vero atto di condanna nei confronti dei tagliagole dell’Isis.
L’Italia sa di avere nel Nord Africa e in particolare in Libia il suo principale fronte di interesse nazionale. Immaginare oggi un intervento militare in Libia è impossibile: troppi attori, troppa violenza, troppe divisioni politiche e troppe armi in giro. E allora occorre delegare a qualcuno il mantenimento dell’ordine nel cortile di casa. Nelle scorse settimane, la visita al Cairo dell’Autorità delegata ai Servizi del Governo italiano, Marco Minniti, è servita a fare il punto sulla cooperazione in materia di intelligence in Libia. La visita di Renzi rafforza un legame strategico con l’Egitto che, al momento, è la migliore opzione strategica per tutelare i nostri interessi nazionali. Soprattutto questa “special relationship” trova il pieno consenso degli Stati Uniti, i quali hanno voglia di vedere un Mediterraneo meno caotico, per concentrarsi sulle vicende dello stato islamico in Syraq (Siria e Iraq) e che volentieri delegano questo compito all’Egitto e ai Paesi europei più esposti, a cominciare dall’Italia.
Insomma: quella di Renzi è una shuttle diplomacy attiva (va vista in prospettiva di interesse verso il Mediterraneo anche la recente visita a Mosca) per provare a mettere almeno pochi punti fermi nella palude complicata e pericolosa di un Mediterraneo in fiamme.
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