ISRAELE/ La vittoria di Netanyahu, una colata di cemento (sulla pace) lunga 15 anni
Benjamin Netanyahu esce vincitore dalle elezioni in Israele, confermando lo spostamento a destra dell’opinione pubblica e della classe politica. FILIPPO LANDI commenta l’esito delle urne

Le ultime elezioni politiche in Israele hanno portato in evidenza lo spostamento a destra dell’opinione pubblica e della classe politica di questo paese di otto milioni di abitanti. È un fenomeno del tutto evidente a chi vive in Israele, perché si è sviluppato nel corso di molti anni. Volendo indicare una data di inizio, non arbitraria, si può risalire alle elezioni politiche del febbraio 2001, con la sconfitta del laburista e primo ministro uscente Ehud Barak di fronte all’ex generale e neo-leader del partito Likud Ariel Sharon. Nell’arco di questi ultimi quindici anni, sul piano politico, si è ripetutamente confermata la valenza minoritaria del partito laburista (fatto che si è ripetuto anche il 17 marzo). Non solo, si sono anche disintegrate o drasticamente ridimensionate quelle nuove aggregazioni di centro, che avevano raccolto i voti ed anche le speranze di non pochi israeliani. È letteralmente scomparso il partito Kadima, fondato da Sharon. Chi ne aveva preso le redini, Tzipi Livni, non è riuscita infatti a dare al partito un chiaro programma né a farlo uscire dalle dirompenti faide interne di potere. Si è anche ridimensionato nei voti (oggi 11 seggi, rispetto ai 19 del 2013) ma soprattutto nelle speranze della gente il partito di centro di Yair Lapid, il giornalista, l'”uomo nuovo” della politica israeliana.
Si deve aggiungere che in questo spostamento a destra di Israele la fotografia fornita dagli schieramenti politici non è mai esaustiva. C’è invece da sottolineare quella politica, anzi quella “cultura dei fatti compiuti” cha ha segnato la società israeliana. Il dibattito sulle trattative di pace con i palestinesi è venuto meno sotto una colata di cemento che ha esteso a dismisura le colonie israeliane nella parte araba di Gerusalemme, come negli altri Territori palestinesi, da Hebron a Betlemme, dalla periferia di Ramallah a quella di Nablus. In nome di una espansione messianica verso la Grande Israele ed insieme nella corsa alle case a buon mercato, favorite dagli incentivi fiscali di tutti i governi israeliani.
Ad allontanare il dubbio che una simile politica dei fatti compiuti potesse rinfocolare odi e violenze, c’ è stata sempre la rassicurante politica sul mantenimento della forza militare di Israele. In altre parole, si spende molto per gli armamenti ma questo è “indispensabile” per mantenere la sicurezza ed anche il benessere del paese.
Al di là del fiume Giordano, e delle frontiere a nord e a sud di Israele, anche la paura per l’ascesa del fondamentalismo islamico, anche questo ha segnato l’opinione pubblica israeliana. Ancora una volta nessuna analisi accurata del fenomeno islamista, nessuna diversificazione, nessun dubbio su possibili errori politici compiuti in passato (ad esempio la mancata pace con la Siria, per mantenere il controllo militare dell’altopiano occupato del Golan). Si potrebbe continuare a lungo nel descrivere questi ultimi 15 anni.
Tuttavia, le elezioni del 17 marzo hanno portato in evidenza dinamiche politiche ormai consolidate, ma anche posto alle classi dirigenti europee ed americane un problema politico nuovo. Nella sua corsa “disperata” per vincere (così la definisce un editoriale del New York Times) Netanyahu ha raccolto i voti della destra, ha ottenuto la sua riconferma e nel contempo ha “svelato” che non ci sarà uno stato palestinese. Per “prevenire” l’avanzata degli integralisti islamici, precisa. La sostanza non cambia. La sua promessa, invece, è il via libera a nuove colonie a Gerusalemme est.
Gli Stati europei ribadiranno la loro amicizia ad Israele e al governo Netanyahu? L’odierna politica israeliana è quella giusta per far avanzare la pace in Medio Oriente? Tutto verrà “sepolto” in nome della lotta al terrorismo internazionale, come accade anche per il “nuovo” Egitto del presidente Sisi, di cui abbiamo dimenticato le stragi di oppositori e le migliaia di condanne a morte dei suoi tribunali? Negli Stati Uniti, in verità, l’Amministrazione di Barack Obama guarda ormai ad Israele con preoccupazione, ma la lobby congressuale americana pro Netanyahu è ancora fortissima. Tuttavia, ora dopo il 17 marzo il tempo delle scelte si avvicina, per tutti.
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