ISRAELE-PALESTINA/ Così Obama può riaprire il dialogo
La situazione mediorientale è sempre più complessa e ciò rende ancor più difficile la soluzione del problema palestinese, in cui le responsabilità non sono solo israeliane. CALEB J. WULFF

Per decenni si è fatta dipendere la pace nel Medio Oriente dalla soluzione del problema israelo-palestinese, ma i tragici sviluppi della situazione nell’area lo ha reso solo uno dei problemi, pur rimanendo molto importante. Il governo israeliano è tornato recentemente sotto il riflettore delle critiche per la sua opposizione all’accordo sul nucleare israeliano, ma il governo di Netanyahu è costantemente sotto attacco per la politica sugli insediamenti nei Territori sotto l’Autorità palestinese, in quanto ostacolo al raggiungimento di una soluzione pacifica.
E’ una critica del tutto fondata, come fondata è l’accusa a Netanyahu di tradire l’origine stessa di Israele, per esempio adombrando l’abbandono della soluzione dei due Stati, israeliano e palestinese. Queste giuste critiche sono tuttavia meno accettabili se fatte in un’unica direzione, cioè solo contro Israele, dimenticando che diversi Stati arabi hanno sostenuto per decenni la soluzione “un unico Stato”, intendendo solo lo Stato palestinese con la cancellazione di Israele. Tesi tuttora sostenuta dall’Iran e da movimenti come Hamas o Hezbollah, con l’apparente disinteresse di molti commentatori e della costosa e incapace ONU.
Le reazioni militari di Israele si possono senza dubbio giudicare come molto, o anche eccessivamente, dure, ma è scorretto considerare i continui attacchi di Hamas a Israele alla stregua di semplici azioni dimostrative. Così come non si può dimenticare che tra gli Stati arabi che nel 1948 attaccarono il neonato Stato, solo Egitto e Giordania hanno firmato un trattato di pace, rimanendo gli altri in guerra contro Israele. Bisognerebbe poi ricordare che i territori che dovevano fondamentalmente costituire lo Stato palestinese, Cisgiordania e Striscia di Gaza, alla fine della guerra del 1948 erano stati occupati rispettivamente dalla Transgiordania, che si chiamò da allora Giordania, e dall’Egitto. Israele occupò queste zone, compresa Gerusalemme Est, solo con la guerra del 1967.
Dal 1948 al 1967 intercorrono quasi vent’anni e nessuno ha impedito a Egitto e Giordania di cedere le zone occupate ai palestinesi perché costituissero un loro Stato. Se la cosa è stata impossibile è perché gli Stati arabi e poi l’Olp avevano come obiettivo la cancellazione di Israele. Anche il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza di Israele nel 2005, che evacuò dalla Striscia tutte le colonie ebraiche, non portò a un avvio di soluzione del problema per le discordie tra le due componenti palestinesi di Al Fatah e Hamas, che sfociarono anche in veri e propri scontri tra palestinesi.
Nonostante tutto, non sono mancati i tentativi di accordo, come quelli riusciti dei trattati di pace con l’Egitto nel 1979 e con la Giordania nel 1994, e quelli finora più o meno falliti, per responsabilità incrociate di entrambe le parti, di Oslo nel 1993 e Camp David nel 2000. Purtroppo la situazione sembra ora essersi gravemente deteriorata, con il prevalere della destra nazionalista e dei partiti confessionali in Israele, e con le accennate divisioni tra i palestinesi e le posizioni estremistiche assunte da Hamas. Ciò rende molto difficile la ripresa dei già difficili precedenti accordi.
Come per Oslo e Camp David, l’unica possibilità è che l’iniziativa parta al di fuori dei due contendenti e, malgrado la sua confusa e pericolosa politica mediorientale, proprio Obama ha forse fornito una pietra iniziale per un nuovo processo di pace, che può solo partire dal riconoscimento definitivo dell’esistenza dello Stato di Israele come premessa alla nascita di uno Stato palestinese.
L’Iran non è uno Stato arabo, ma gli ayatollah iraniani, o meglio una loro parte, sono attualmente i più espliciti nel propagandare la distruzione di Israele. L’accordo sul nucleare e le pressioni degli sponsor Russia e Cina, anche loro minacciati dall’estremismo islamico, potrebbero portare su una posizione diversa Teheran, con conseguenze positive su tutto il mondo sciita della regione. Simili pressioni dovrebbero essere effettuate su Arabia Saudita, Stati del Golfo e Turchia, già in passato alleata di Israele, anche perché un accordo di questo tipo non solo metterebbe alle strette israeliani e palestinesi, ma sarebbe utile per una diminuzione delle tensioni nell’intera regione. Può sembrare, e lo è, un progetto ambizioso, ma esistono altre soluzioni?
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