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Home » Esteri » Elezioni Usa » ELEZIONI USA 2016/ Mike Pence batte Tim Kaine: nel dibattito tra candidati vicepresidenti meglio il “numero 2” di Donald Trump (oggi, 5 ottobre)

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ELEZIONI USA 2016/ Mike Pence batte Tim Kaine: nel dibattito tra candidati vicepresidenti meglio il “numero 2” di Donald Trump (oggi, 5 ottobre)

Elezioni Usa 2016: nel dibattito tra candidati alla vicepresidenza Mike Pence è stato più incisivo di Tim Kaine. Donald Trump pone fine così ad un periodo molto favorevole a Hillary Clinton.

La Redazione
Pubblicato 5 Ottobre 2016
donaldtrump_pence1R439

Donald Trump con Mike Pence (LaPresse)

-Quando in Italia era notte fonda negli Stati Uniti è andato in scena il dibattito tra i candidati alla vicepresidenza di queste Elezioni Usa 2016: Tim Kaine e Mike Pence. Chi ha vinto? Ve lo diciamo subito: è andato meglio Pence, candidato repubblicano in supporto di Donald Trump, premiato non soltanto dagli osservatori e dai giornalisti, ma anche dai telespettatori della Cnn, gli stessi che il 26 settembre diedero la vittoria a Hillary Clinton. Durante il faccia a faccia alla Longwood University di Farmville, Virginia, a cercare di attaccare per tutta la serata, probabilmente in maniera anomala essendo il vice di una candidata che secondo i sondaggi ha un ampio vantaggio da difendere, è stato Tim Kaine. Ed è stata proprio la smania di segnare punti a suo favore a rivelarsi controproducente: Kaine ha interrotto continuamente il suo rivale, lo ha fatto per più volte di quanto ad esempio abbia fatto Trump con Clinton nel primo confronto (mica facile!), ma senza sortire gli effetti sperati. Perché? Soprattutto per merito di Mike Pence. Il governatore dell’Indiana, dinanzi a milioni di americani in cerca di un motivo in più per andare a votare l’8 novembre, ha dimostrato di essere molto più a suo agio rispetto a Kaine. Non si è mai scomposto, ha sempre mantenuto un tono pacato, rassicurante; ha sfruttato la sua esperienza passata nelle radio per parlare alla gente, ha cercato di presentarsi come un osservatore non di parte, che per questo può permettersi di dare giudizi obiettivi su tutte le questioni. Eppure all’inizio era stato Kaine a partire bene, giocandosi una carta che in America (ma anche in Italia) vince sempre: quella del sentimentalismo. Per difendere Hillary Clinton dalle accuse di essere una candidata poco affidabile, Kaine ha infatti parlato del figlio, un marine attualmente in missione oltreoceano, ricordando che lui e sua moglie hanno talmente fiducia nella candidata democratica da mettere nelle sue mani il futuro della “cosa più importante della nostra vita”, sottolineando di contro che pensare ad un Donald Trump a capo delle forze armate li “spaventa a morte”. Da lì in poi, però, per Kaine le cose non sono andate molto bene. Il punto è che quando ti trovi a parlare di Donald Trump hai così tanti argomenti da usare contro di lui che non sai mai con quale iniziare. Bene, Kaine li ha usati tutti, li ha infilati in tutte le frasi, ma per questo è risultato poco incisivo. Il candidato del Partito Democratico non è riuscito ad essere mirato: ha parlato della serie di insulti messi insieme da Trump in questa campagna elettorale, da quelli agli immigrati messicani fino all’ultimo all’ex Miss Mondo Alicia Machado; ma Pence ha usato quella che da sempre è la strategia migliore quando si è nel torto: negare, negare e ancora negare. Con il suo modo di fare così pacato, Pence è riuscito nell’impresa di far risultare Kaine a tratti irritante. Un esempio di quanto affermiamo è racchiuso perfettamente in una delle tante interruzioni che Kaine ha fatto a Pence: si discuteva se l’America rispetto all’avvento di Obama nel 2008 fosse un posto più sicuro e il repubblicano aveva deciso di prenderla un po’ larga dicendo che durante gli attacchi dell’11 settembre lui si trovava a Washington; a questo punto Kaine gli ha parlato sopra dicendo:”E io ero in Virginia, al Pentagono” (clicca qui per vedere questo momento). Che bisogno c’era di dirlo? Se c’è una cosa, però, in cui Kaine ha primeggiato rispetto a Pence anche a detta dei primi sondaggi, questa è stata la difesa del candidato presidente. Kaine ha espresso le stesse posizioni di Clinton, ha illustrato i suoi progetti, difeso la sua politica estera, elogiato le sue molteplici qualità; Pence è andato “oltre” il ruolo di un vice, perché ha sì difeso Trump dagli attacchi di Kaine, ma si è spinto anche a promettere cose di cui il suo leader non aveva mai parlato. Un esempio? Ha espresso la necessità di bombardare le forze di Assad in Siria se la Russia di Putin non deciderà di arretrare. Non è escluso che i due abbiano concordato questa posizione, ma allo stesso tempo è chiaro che in tal caso sarebbe stato meglio che a  fare un annuncio così importante fosse stato Trump. Nel primo e ultimo confronto televisivo tra vicepresidenti di queste Elezioni Usa 2016 si sono così scontrati i due modelli strategici che hanno portato Clinton e Trump alla scelta di Kaine e Pence: se per i Democratici l’indicazione è stata quella di optare per un “running mate” su posizioni simili a quelli della “capitana”, in campo Repubblicano si è deciso di puntare su un numero due diverso dal leader, meno spumeggiante, ma più solido e preparato dello stesso Trump. Per questo in molti hanno fatto notare che nel faccia a faccia della Virginia si siano combattute due battaglie differenti: Kaine ha giocato per difendere Clinton e il suo operato, da buon vicepresidente; Pence al contrario è stato se stesso, è rimasto sulle posizioni che da sempre caratterizzano i conservatori, magari in prospettiva di una prossima corsa per le primarie Repubblicane nel 2020. Fatto sta che le sfumature passano in secondo piano agli occhi dell’elettore medio. Pence ha oggettivamente fatto meglio: ha fatto sfuriare Kaine, ha saputo attaccare Clinton sui suoi punti deboli, dalla politica estera, alla sua inaffidabilità, fino alla famosa frase sul “cesto di miserabili” con cui Hillary ha definito gli elettori di Trump. Difficile pensare che questo dibattito televisivo possa spostare molto in termini di voti. Il dibattito tra candidati alla vicepresidenza non è mai stato decisivo nella corsa alla Casa Bianca: non attendiamoci, insomma, un balzo in avanti nei sondaggi di Trump. Quel che è certo, però, è che il repubblicano può almeno rifiatare dopo un periodo terribile iniziato con il primo dibattito televisivo contro Hillary. E magari provare a riprendere in mano le redini della sua campagna elettorale, a partire dal secondo dibattito del prossimo 9 ottobre. Pence forse può dargli una mano a capire come si vince, ma il problema di un tipo che dice di “sapere come si fa a vincere” perché convinto di essere un “vincente”, è proprio comprendere quando il pericolo di una sconfitta è dietro l’angolo. (Dario D’Angelo)


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