Dopo il malore che ha colpito Hillary Clinton durante il memoriale per le vittime degli attentati dell’11 settembre, il dibattito in vista delle Elezioni Usa 2016 si è arroccato per un po’ di tempo su un tema apparentemente marginale rispetto agli interessi degli americani. Vedere Hillary Clinton crollare fisicamente, pensare che le sue condizioni di salute avrebbero potuto impedirle di guidare gli Stati Uniti come meritano, ha infatti portato media e cittadini a domandare chiarezza. E il discorso non riguarda solo la democratica, ma anche il suo competitor, Donald Trump. In un contesto in cui la trasparenza viene richiesta con grande insistenza da più fronti, non può bastare una lettera strampalata di un gastroenterologo di fiducia a convincere gli americani che se venisse eletto Trump sarebbe il Presidente più in forma della storia della Casa Bianca. Nessun obbligo, intendiamoci. Non c’è una legge per cui i candidati alla Casa Bianca sono costretti a diffondere i propri esami o a dare conto della propria storia clinica, ma è da tempo diventata una prassi alla quale tanto la democratica quanto il repubblicano hanno per lungo tempo cercato di sottrarsi. Ed è quanto meno paradossale che siano due degli aspiranti presidenti più anziani della storia degli Stati Uniti a rifiutarsi di fornire maggiori rassicurazioni sul proprio stato di salute. Qualche giorno fa abbiamo ricordato come John McCain, il candidato che nel 2008 sfidò Barack Obama, diffuse un report sulla propria storia clinica composto da circa un migliaio di pagine, inserendo tutti gli esami effettuati negli ultimi 8 anni per rassicurare gli americani che il cancro della pelle che lo aveva colpito tempo prima era ormai acqua passata. Avete capito bene: oltre 1000 pagine di analisi e relazioni mediche, eppure c’è stato chi all’epoca contestò al 71enne McCain il fatto di avere tralasciato l’aspetto della salute mentale, forse insinuando che il periodo di prigionia durato oltre 5 anni nella guerra del Vietnam potesse avere lasciato alcuni strascichi nella psiche del repubblicano. Sempre nel 2008 non sfigurò neanche Barack Obama, che a dispetto di un’età che non faceva pensare a particolari problemi di salute (47 anni), diffuse comunque una relazione di circa 300 pagine per attestare che la brillantezza mostrata agli occhi del mondo corrispondeva anche nella cartella clinica. Ma c’è un’età dopo la quale si può essere considerati troppo vecchi per diventare presidenti degli Stati Uniti? Hillary Clinton e Donald Trump hanno rispettivamente 68 e 70 anni: non proprio dei ragazzini. Se a vincere le Elezioni Usa 2016 fosse Trump, il tycoon newyorchese sarebbe il presidente eletto più “vecchio” della storia: anche Ronald Reagan, che il giorno dell’inizio del suo primo mandato aveva 69 anni, risulterebbe più giovane di lui, ma a sostegno di The Donald bisogna dire che nel 1984, all’età di 73 anni, Reagan fu eletto per un secondo mandato. Come riportato da fivethirtyeight.com, una donna dell’età di Hillary senza particolari problemi di salute potrebbe avere un’aspettativa di vita di circa 17.8 anni, mentre un uomo come Trump potrebbe sperare di vivere altri 14.1 anni. A questo bisogna aggiungere che, essendo i due istruiti e appartenenti alla fascia più agiata della popolazione, le loro probabilità di vivere a lungo aumentano in maniera esponenziale. Certo è che applicare delle considerazioni generali su due individui specifici non è un metodo corretto per valutare il loro stato di salute e la loro reale aspettativa di vita. Reid Blackwelder, un professore di Medicina di Famiglia all’East Tennessee State University, ha specificato come il lavoro del Presidente degli Stati Uniti richieda un dispendio energetico non indifferente. Per avere un’idea di come possa essere logorante basta vedere le foto degli inquilini della Casa Bianca il giorno della loro elezione e a fine mandato (qui ad esempio potete vedere com’è cambiato Obama). Per quanto l’età non possa sempre essere un aspetto determinante nell’insorgere di una malattia, è comunque un fattore: quando Ronald Reagan nel 1994 annunciò in una lettera straziante di essere malato di alzheimer, erano passati soltanto 6 anni dalla fine del suo secondo mandato. E non sono pochi coloro che sostengono che alcuni segni della malattia si fossero manifestati durante la sua presidenza. La possibilità di sviluppare tumori, malattie cardiovascolari e neurologiche aumenta di pari passo con l’avanzare dell’età, per questo è lecito domandarsi: si è mai troppo vecchi per pretendere di guidare un Paese? Probabilmente no, almeno fino a quando l’età non si trasformi in un limite. Questo non significa, però, che i cittadini americani non abbiano tutto il diritto di apprendere maggiori informazioni sullo stato di salute dell’uomo e della donna che saranno chiamati a votare tra meno di due mesi. Vista dalla parte di Hillary e Trump, la situazione si ribalta: non c’è niente di più privato della salute, nessuno può obbligarli a diffondere queste informazioni così riservate. Si tratta probabilmente di avere l’intelligenza e soprattutto la sensibilità di comprendere che gli americani hanno già tanti problemi per doversi preoccupare anche che il loro futuro Presidente potrebbe morire da un momento all’altro. Chi avrà il buon senso di capirlo prima tra i due conquisterà molti punti, a meno che non abbia qualcosa da nascondere: in quel caso ogni discorso sulla trasparenza verrebbe meno. Chi mai sacrificherebbe l’opportunità di diventare presidente degli Stati Uniti sull’altare del fair play? (Dario D’Angelo)