RIO DE JANEIRO — Giovedì 18 maggio il Supremo Tribunal Federal ha divulgato la registrazione di un colloquio tra l’imprenditore Joesley Batista e il presidente della Repubblica Michel Temer. L’incontro non appare nell’agenda ufficiale del presidente e si è svolto nel garage della residenza ufficiale. Lì Batista dice che sta comprando giudici ed il silenzio di Eduardo Cunha, l’ex presidente della Camera ora in carcere per corruzione. Temer risponde a monosillabi.
Tanto basta per dare un nuovo, inaspettato, giro di vite alla crisi che in questi ultimi tre anni ha dominato il paese. La borsa cade dell’8,8 per cento, il dollaro arriva a salire di quasi il 10 per cento. Temer dichiara che non si dimetterà ma l’appoggio in Parlamento vacilla, manifestazioni di piazza a Brasilia sfociano in incendi di quattro ministeri e deve intervenire l’esercito.
Contemporaneamente Aecio Neves, il candidato alla presidenza sconfitto alle scorse elezioni, è accusato di aver ricevuto una mazzetta di 2 milioni di real brasiliani (circa 500 mila euro) ed è sospeso dal suo incarico di senatore. L’operazione Lava Jato, la Mani Pulite tropicale, ha quindi travolto Dilma Roussef, la presidente eletta nel 2014, sta chiudendo l’esperienza di governo di Michel Temer, che era suo vice-presidente e le è succeduto dopo il suo impeachment, e ha decapitato il capo dell’opposizione. Lula, presidente per 8 anni prima di Dilma, è anche lui indagato.
Con il mondo politico sono sotto accusa anche i grandi gruppi economici del paese: Petrobras, Odebrecht e ora Jbs, colosso della carne e padrona di Havaianas, l’impero delle infradito. Petrobras pagava perché statale e completamente politicizzata, gli altri per ottenere leggi di favore, sgravi fiscali o prestiti pubblici a tassi inattingibili al mercato per alimentare le proprie acquisizioni all’estero. In uno dei paesi più diseguali al mondo si sono usate le tasse per trasferire risorse dalla classe media (la fascia massima dell’imposta dei redditi riunisce tutti quelli sopra i 1100 euro mensili) a quella altissima. Quattordici anni di governo di sinistra hanno solo peggiorato il meccanismo.
I brasiliani sono sgomenti: si scagliano contro l’altra parte politica, o vogliono l’azzeramento totale, in molti prevale stanchezza e la voglia che finisca, in un modo o nell’altro. Nel fragile equilibrio del governo Temer l’economia aveva mostrato qualche segnale di ripresa dopo aver perso il 7,4 per cento in due anni, nella peggior recessione dal 1930. In aprile si erano creati 60mila posti di lavoro. Non era molto, ma segnava una inversione di tendenza dopo che i disoccupati avevano superato i 14 milioni. Ora ci si aspetta l’inevitabile sbandamento.
L’aspetto più preoccupante è la mancanza di prospettive, fossero pure antagoniste. Fernando Henrique Cardoso, il presidente che fece uscire il Brasile dall’iperinflazione all’inizio del secolo, sta lavorando ad un accordo su un nome condiviso per sostituire Temer, ma è difficile trovare l’equilibrio necessario nel terremoto. Più che una battaglia tra poteri sembra una valanga in cui tutti stanno perdendo, a parte gli investitori stranieri che fanno shopping e gli speculatori che guadagnano sui cambi. Lo stesso Batista ha pensato bene di accumulare dollari prima di presentarsi ai magistrati. Potrebbero essere banalmente questi i registi? Solo a pensarci viene il terrore.