Negli ultimi anni, la recrudescenza di alcuni conflitti armati e nuove rivalità strategiche hanno cominciato a riportare l’attenzione su un tema cruciale per le relazioni internazionali e lo sviluppo economico, vale a dire le spese militari. In particolare, secondo i dati diffusi dal Sipri nello scorso maggio, le spese militari nel 2017 hanno rappresentato il 2,2% del Pil globale, aumentando su base annua dell’1,1% e confermando un trend di crescita di lungo periodo.
A dispetto di ragionevoli opinioni, le determinanti delle spese militari non sono esclusivamente di natura strategica. In primo luogo, i Paesi aumentano le proprie spese militari nel momento in cui l’economia si trova in un periodo di crescita. È semplice verificare, infatti, che nel momento in cui il Pil di un Paese cresce, allora le spese militari tendono ad aumentare. Non è un caso che le economie emergenti presentino incrementi di spesa militare significativi nei periodi in cui si registrano o si aspettano tassi di crescita particolarmente elevati. Il fatto che le spese militari abbiano una natura pro-ciclica dal punto di vista economico contribuisce a farci comprendere perché esse non vadano interpretate esclusivamente in chiave strategica.
Anche il tipo di regime politico dei Paesi, peraltro, spiega il livello di spesa militare. Solitamente, le democrazie presentano un livello di spesa militare inferiore ai regimi autoritari. Nelle società democratiche, infatti, i cittadini richiedono beni pubblici – quali istruzione, sanità e sistemi di welfare – che diminuiscono la dotazione di risorse disponibili per altre spese. Nelle autocrazie i leader sono meno sensibili alle richieste dei cittadini – se non del tutto insensibili in molti casi – e quindi la capacità di spesa in ambito militare è più elevata.
Al di là di questi aspetti, comunque, l’elemento strategico rimane in ogni caso rilevante. In questo senso rilevano aspetti geografici e politici, spesso sovrapponibili. I Paesi si armano nel momento in cui quelli geograficamente vicini si armano. È chiaro che Paesi vicini possono essere sia alleati sia rivali.
Se guardiamo all’aspetto politico, l’influenza che rivalità o alleanze hanno sulle decisioni di spesa militare è più ambigua. Nelle alleanze, infatti, i Paesi potrebbero anche scegliere di comportarsi in maniera opportunistica nei confronti dei propri partner: in altre parole, nel momento in cui in seno a un’alleanza un Paese spendesse di più, gli altri potrebbero decidere di spendere di meno e godere comunque della protezione fornita da chi ha sostenuto spese maggiori. È il classico problema di free riding che si ritrova nell’analisi dei beni pubblici. Se questo tipo di comportamento si verifica, allora un aumento di spesa militare di un Paese, in particolare di un leader dell’alleanza, può anche non indurre un aumento di spesa negli alleati.
Questa solitamente è l’accusa che molti osservatori americani muovono nei confronti dei partner europei. Essa è tuttavia infondata, poiché le analisi più approfondite non confermano tale luogo comune. La partecipazione ad alleanze, peraltro, può anche aumentare il livello di spesa militare in virtù degli scambi di armamenti tra Paesi alleati. Durante la Guerra fredda, infatti, esisteva una chiara sovrapposizione tra alleanza militare e fornitura di armamenti. Attualmente, invece, il mercato degli armamenti a livello globale è un mercato di concorrenza monopolistica che diviene sempre più competitivo e che vede, grazie alla diffusione della tecnologia a livello globale, la comparsa di produttori anche tra i Paesi emergenti.
Questa tendenza sta contribuendo ad aumentare la frammentazione di tale mercato a livello globale rischiando di modificare i rapporti tra Paesi tradizionalmente amici. Governi tradizionalmente alleati, infatti, al fine di favorire le esportazioni della propria industria nazionale in questo settore potrebbero rischiare di muoversi in maniera non-cooperativa nei confronti di Paesi terzi, andando a compromettere il perseguimento di obiettivi politici comuni.
Questo rischio di “rottura” delle alleanze tradizionali si associa agli altri aspetti negativi che derivano dall’aumento delle spese militari. In primo luogo, come è mostrato in un ampio insieme di studi, vi è danno prevedibile in termini di mancata crescita economica, in virtù della natura improduttiva di tali spese. In secondo luogo, un maggior numero di armi a disposizione dei governi, a dispetto dei luoghi comuni, genera instabilità e non sicurezza, poiché determina una “corsa agli armamenti” tra Paesi rivali in tempo di pace e prolunga i conflitti armati in tempo di guerra.
È ora che la comunità internazionale, e in particolare i Paesi della Nato, comincino a interrogarsi sulla necessità di interrompere tale trend di crescita della spesa militare attraverso una più stringente regolamentazione del mercato degli armamenti a livello globale. Sfortunatamente politiche globali di convergenza in questo senso sono ben lungi dall’essere finanche discusse.