DIARIO USA/ Il sogno americano? Distrutto dalla disperazione esistenziale

- Riro Maniscalco

Che fine ha fatto il sogno americano? Possibile che la vita non abbia portato quel successo e quel benessere che da sempre sono indicati come la meta certa dell’esistenza? RIRO MANISCALCO

statua_liberta_r439 Foto: InfoPhoto

NEW YORK — Che aria tira? Significativa crescita economica, borsa scoppiettante, dollaro un po’ troppo forte, ma un mercato del lavoro vivacissimo con un tasso di occupazione verso i massimi storici. Eppure, “yet there is a darkness spreading over part of our society. And we don’t really understand why” (“tuttavia c’è un’ombra che va diffondendosi su parte della nostra società. E francamente non capiamo perché”). Lo ha scritto ieri sul New York Times Paul Krugman, economista, professore universitario, stimato ed onesto editorialista.

Krugman non è il solo a dirlo, e non è il solo a non sapere perché. Ad innescare questa riflessione sono stati i risultati di una ricerca condotta da Angus Deaton e Anne Case, il primo docente di scienze economiche a Cambridge e recente Premio Nobel, la seconda professoressa a Princeton. Una ricerca che ha portato a galla una di quelle cose che faremmo volentieri a meno di sentirci dire: è dal 1999 che la mortalità tra gli uomini bianchi americani di mezza età è in crescita. Statisticamente la vita si allunga per tutti, in tutto il mondo, per tutte le razze e classi sociali tranne che per l’uomo bianco che si trova a vivere il mezzo del cammin della sua vita nella pancia della grande America. E l’aspetto più sconcertante è che non stiamo parlando di problemi cardiovascolari o neoplasie, stiamo parlando di suicidio e morti provocate dall’abuso di alcol e droghe.

C’è una dolorosa onestà nell’ammissione di Krugman. Non capire il perché significa non accontentarsi della facile riduzione ideologica che risolve tutte le questioni spinose attribuendo la colpa a chi la pensa diversamente da se. I conservatori potrebbero dirci, anzi, ci dicono, che questo sfaldamento dell’uomo bianco nasce dal continuo assalto a quei valori che per generazioni hanno animato la nostra gente e dall’intrusione sempre più veemente dello Stato con i suoi programmi e piani di assistenza nella vita del cittadino. Se però guardiamo i fatti dobbiamo osservare che sulle coste, dove la religione è bella che andata ed i programmi di intervento sociale sono ben più numerosi e rilevanti che nel cuore del paese, l’uomo bianco di mezza età non sembra affatto in crisi esistenziale. D’altro canto neanche “l’opzione materialistica” sembra offrire un’adeguata spiegazione. La popolazione ispanica è davanti agli occhi di tutti: poveri, religiosi e senza nessuna pulsione autodistruttiva.

Ma allora chi ha tradito l’uomo bianco? Deaton, l’economista di Cambridge, ci dice che costui ha smarrito “the narrative of his life“, ha smarrito la storia della sua vita, ha perso il bandolo di quella matassa che avrebbe dovuto dipanarsi nella realizzazione dell’American dream. La storia non ha mantenuto la sua promessa, la vita non ha portato quel successo e quel benessere che fin da piccolo mi erano stati indicati come la meta certa dell’esistenza. Ma cosa accade quando si è educati ad aspettarci qualcosa che poi non accade? Krugman la chiama “disperazione esistenziale”, che non suona affatto bene.

L’editorialista del NY Times conclude con l’ennesimo sprazzo di onestà scostando con una gomitata qualsiasi tentazione di credere che assistenza sanitaria totalmente gratuita, aumento del salario minimo, e lo sa Dio cos’altro possano liberarci da questa nuova piaga. Ci farebbero senz’altro bene, ma non potranno mai guarirci dall'”existential despair”.

Concordo e mi spingo oltre. L’American dream è sempre stato – inevitabilmente! – un’arma a doppio taglio. La sua grande forza porta in se anche la sua radicale debolezza: il mio Io. L’io che si lancia alla ricerca della felicità, per sua natura, incessantemente, e l’io che non può mantenere la propria promessa. Certo, in questo cammino ci mettiamo pure Dio, il paese….mettiamo nel conto anche loro, ma in funzione del mio American Dream. Solo che la vita vera è un’altra cosa.

La disperazione esistenziale è come un’infezione partita dal punto in cui l’organismo è più fragile, più esposto, dove il contrappasso è più evidente. Ma non credo che le coste, più ricche e colte, posseggano un vaccino in grado di proteggerle. La minaccia della disperazione esistenziale traspare nella confusione del recente scandalo dell’Università del Missouri, nelle sempre più inacidite questioni razziali, nella violenza folle di chi spara a persone inermi e nell’insipienza dei candidati alle presidenziali. Da nord a sud, da est a ovest.

C’è un errore di prospettiva – come cantava il mio amico Claudio. Un errore, diceva Chesterton, è una verità impazzita. L’American dream ha bisogno di un centro di gravità più potente di se. E’ sempre stato cosi, ma non è stato mai cosi urgente.





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