IL CASO/ La Polonia non partecipò all’Olocausto? Il grave errore di stabilire la verità per legge
Il Parlamento polacco ha approvato una legge che prevede il carcere per chiunque attribuisca alla Polonia una corresponsabilità nell’Olocausto. Un provvedimento pericoloso. ANNALIA GUGLIELMI

Il Parlamento polacco ha approvato il 26 gennaio scorso, mentre il Senato l’ha ratificata oggi, una legge sull’Istituto per la Memoria Nazionale che prevede fino a tre anni di carcere per chiunque “pubblicamente e andando contro i fatti attribuisca alla Nazione polacca o allo Stato Polacco la responsabilità o la corresponsabilità per i crimini nazisti commessi dal III Reich”, che ha suscitato l’indignazione di buona parte dell’opinione pubblica in Polonia e all’estero e soprattutto in Israele, che sta minacciando di ritirare il proprio ambasciatore a Varsavia.
Si tratta di un fatto molto grave: è un’importante limitazione alla libertà di pensiero, di parola e di stampa, ed è un ulteriore passo verso il tentativo di riscrivere la storia della Polonia che l’attuale partito al governo, PiS (Legge e Giustizia), sta portando avanti da tempo.
È di questi stessi giorni la chiusura dell’istruttoria dell’Istituto per la Memoria Nazionale relativa ai documenti che accusavano Lech Walesa di essere un delatore al soldo del partito comunista polacco, che esponenti del PiS avevano reso pubblici.
Si è trattato di un tentativo di colpire la credibilità e l’autorità di cui ancora Walesa gode in patria e all’estero, per sostituirlo come artefice della nascita di Solidarnosc e della caduta del regime comunista con il fratello gemello del leader del PiS, il presidente Lech Kaczynski perito nel 2010 nella tragedia di Smolensk.
L’esame grafologico dei testi, però, ha stabilito che si tratta di un falso, restituendo a Walesa il posto che gli spetta nella storia recente della Polonia e dell’Europa senza ombre e senza dubbi.
Con questa legge si vuole presentare una Polonia, unica nazione europea, totalmente innocente durante la seconda guerra mondiale, tacendo o mistificando qualsiasi evento storico possa macchiare questa immagine, come ad esempio l’eccidio di Jedwabne del 10 luglio 1941, quando tutti gli ebrei del villaggio vennero uccisi dai loro vicini di casa polacchi, o i casi di denuncia di ebrei da parte di polacchi.
Si cerca forse di far leva sull’antisemitismo di alcune frange estreme neofasciste e neonaziste, che abbiamo visto sfilare per le strade di Varsavia qualche mese fa, per alimentare la paura del diverso, di tutto ciò che possa macchiare o contaminare l’essere polacco, e quindi, forse, anche per rafforzare la posizione di chiusura all’accoglienza dei migranti che ha portato la Commissione europea ad attivare l’articolo 7 del Trattato di Lisbona, che potrebbe privare la Polonia del diritto di voto nel Consiglio d’Europa, e per rafforzare nell’immaginario collettivo l’immagine di una Polonia assediata, unico e ultimo baluardo della cristianità.
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