Russiagate, ex dirigenti campagna elettorale di Donald Trump accusati di frode. Parliamo di Paul Manaford e Rick Gates e, come sottolinea ABC, quest’ultimo ha dato una svolta alla vicenda: Gates si è dichiarato colpevole di cospirazione contro gli Stati Uniti d’America e di aver mentito agli investigatori dell’FBI. Rispetto ai dieci anni di condanna previsti, Gates ora sarà punito con pene minori grazie a queste sue dichiarazioni: “Malgrado il mio iniziale desiderio di difendermi con forza dalle accuse, ci ho ripensato. La realtà è che la lunghezza del procedimento legale, i costi e l’atmosfera da circo che abbiamo già visto in questo processo sui media sono troppi da sopportare. Per la mia famiglia sarà meglio se procederò uscendo da questo processo. L’umiliazione pubblica sarà la conseguenza da pagare, che al momento sembra piccolo rispetto a quello che avrebbero dovuto sopportare i miei figli”. (Agg. Massimo Balsamo)
MANAFORT E GATES RISCHIANO FINO A 10 ANNI
Nuove grane per il presidente Usa Trump, il quale deve far fronte ora anche alle gravi accuse che hanno travolto due ex dirigenti della sua campagna elettorale. Si tratta di Paul Manafort e Rick Gates, rispettivamente capo del team elettorale del presidente Usa alle presidenziali del 2016 e il suo braccio destro. I loro nomi sono finiti al centro dell’indagine del procuratore speciale del Russiagate Robert Mueller, il quale ha evidenziato la presenza di ben 32 nuovi capi di accusa e che vanno dalla frode fiscale a quella bancaria. I due indagati per questo rischiano fino a 10 anni di reclusione dopo i 12 capi di accusa per i quali entrambi erano stati incriminati lo scorso ottobre. Ora, stando alle nuove accuse, pare che Manafort e Gates abbiano riciclato 30 milioni di dollari anche se, come spiega Quotidiano.net, l’attenzione è concentrata sulle loro ulteriori azioni poiché, secondo il procuratore speciale del Russiagate avrebbero anche agito come “agenti non registrati di un governo straniero e di partiti politici stranieri, in particolare del governo e del presidente dell’Ucraina”. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
32 NUOVI CAPI DI IMPUTAZIONE
Paul Manafort accusato di frode, nuove imputazioni per l’ex direttore della campagna elettorale di Donald Trump. Ennesima grana per il presidente degli Stati Uniti d’America, con il consulente politico che lo scorso ottobre 2017 si consegnò all’FBI nell’ambito del Russiagate insieme al socio d’affari Rick Gates. Nelle ultime settimane si è parlato molto delle accuse, sempre respinte dai diretti interessati, di complotto contro l’America, di riciclaggio di denaro e di avere lavorato per conto di una entità straniera senza l’opportuna registrazione, violando così il FARA (Foreign Agents Registration Act) come sottolinea Il Sole 24 Ore. Nella giornata di ieri, giovedì 22 febbraio 2018, si sono aggiunte nuove accuse, ovvero quelle di false dichiarazioni dei redditi, di frodi bancarie e di mancata denuncia di account finanziari e conti bancari detenuti fuori dagli Stati Uniti di America. Sono dunque saliti da 12 a 32 i capi di imputazione per l’uomo chiave della campagna di Donald Trump.
30 MILIONI DI DOLLARI RICICLATI
Le accuse a Paul Manafort e Rick Gates sono da ricondurre al lavoro compiuto per un partito filo-russo in Ucraina, nonché per l’ex presidente Victory Yanukovych. I due sono accusati di avere nascosto al fisco USA diversi milioni di dollari trasferiti in conti esteri: dal Cipro a Saint Vincent, passando per le Seychelles e Grenadine. Ma non solo: Manafort e Gates, secondo l’accusa, hanno gonfiato i propri redditi e quelli dell’azienda di Manafort, oltre ad aver nascosto i debiti per ottenere prestiti da 20 milioni di dollari dalle banche. Da sottolineare come si trattino di crimini commessi al di fuori della campagna elettorale di Donald Trump come nuovo presidente americano, ma comunque commessi nello stesso periodo. Paul Manafort è accusato di aver riciclato 30 milioni di dollari, 12 in più rispetto ai primi calcoli effettuati. La stima per Gates, invece, è ferma a 3 milioni di dollari. Le nuove accuse arrivano dall’inchiesta condotta dal procuratore speciale Robert Muller, al lavoro per fare luce sull’interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali del 2016.