Un grande accordo tra Europa e Cina per sostenere insieme l’Africa nel suo sviluppo. È l’auspicio e ancor più l’appello che Romano Prodi, ex presidente del Consiglio e della Commissione europea, lancia da Rimini, nei suoi interventi al convegno su “Quel che muove il mondo”. Un appello anche accorato: nella sua analisi, l’Africa cresce ma non abbastanza, un continente giovanissimo (età mediana, 17 anni nell’area subsahariana) ha ancora oggi la stessa percentuale del Pil mondiale che aveva nell’80, ma con la popolazione aumentata. Ed è oppressa dalle disuguaglianze. E dagli scontri tra Paesi e da quelli ancor più gravi intestini ai singoli Paesi. Polveriera pericolosissima il Congo, “può scoppiare da un giorno all’altro, e nessuno sembra capire che il cambiamento del mondo transita per i minerali rari che sono custoditi nel sottosuolo della Repubblica del Congo”.
Arriva a paventare una guerra mondiale per l’Africa, Prodi? “Questo non lo temo”, risponde lo statista, dialogando con il vice presidente esecutivo e direttore dell’Ispi Paolo Magri, moderatore, con Olusegun Obasanjo, già presidente della Nigeria e dell’Unione Africana e con Stefano Manservisi, direttore della Direzione Sviluppo della Commissione europea. “Sono, piuttosto, preoccupato di una guerra mondiale a pezzi, questa che vediamo già oggi, per la quale non mi sembra che provenga nessun rimedio dalla comunità internazionale e constato l’assenza dell’Europa. Ci prendiamo sempre di più il lusso di mettere delle pezze, ma non studiamo alcuna iniziativa strategica, nemmeno per sistema le aree vicine a noi: pensiamo alla Siria o alla Libia, che vede non l’Unione europea, ma un singolo Paese Ue agire. Sotto quest’aspetto stiamo facendo dei gran passi indietro”.
Prodi riconosce che la crescita dei Paesi in via di sviluppo procede più speditamente di quelli occidentali, di consolidato benessere: “Ma c’è l’enorme problema delle disuguaglianze, dappertutto stanno aumentando, pur nella diversità assoluta dei sistemi. In Cina c’è ad esempio una disuguaglianza impressionante e crescente. Come in alcuni paesi a economia di mercato. Perché? C’è stata una fortissima finanziarizzazione dell’economia in cui tutto il valore aggiunto è stato trasferito alla finanza, e poi si è aggiunta una digitalizzazione che ha spostato valore sui nuovi intermediari planetari, Google, Amazon, Alibaba, che stanno creando molti più danni di quanto si pensi, perché non solo non pagano tasse se non nei Paesi per loro più accondiscendenti, ma perché drenano profitti, si accaparrano fette sempre più consistenti del reddito dell’umanità. Se prenotate una camera d’albergo su un sito di settore, lasciate alla piattaforma anche il 25% o il 30% dell’importo che pagate, e a chi si tolgono questi soldi? Ai camerieri, ai cuochi, al personale! Se nascesse oggi un nuovo partito marxista, il suo motto dovrebbe essere: ‘Intermediati di tutto il mondo, unitevi!’”.
Prodi prosegue nella sua analisi rilevando che “non vedo una nuova sensibilità politica su questi temi, e le differenze non potranno che aumentare, perché le forze sia comuniste che liberali vanno nella stessa direzione iniqua, e nessuno sembra capire che a furia di tirare questa corda, si rischia di spezzarla. Inoltre, in Africa, una democrazia giovane, in molti casi chi vince le elezioni ritiene di essere per questo diventato il padrone materiale del Paese e quindi può benissimo operare una politica coerente con l’aumento delle disuguaglianze in atto, assecondandolo, anziché contrastarlo con azioni opposte”.
Tutto questo si salda con il ragionamento sistemico sull’Africa che, rispetto al “mondo dei paesi sviluppati è un mondo diversi. E anche se cambiassero i termini della demografia più velocemente di come può accadere”, aggiunge l’economista bolognese, “per un’intera generazione ormai le cose sono fatte. Cosa implica tutto questo? Che se noi continuiamo con la divisione di oggi, con il non-dialogo, con la separazione, sarà il disastro, perché abbiamo forze troppo grandi che si confrontano tra loro. L’Asia è e resta la metà del mondo, l’Africa avrà presto 2 miliardi di abitanti, l’Unione europea 490 milioni inclusa la Gran Bretagna. Quindi, lo dicono i numeri, c’è assolutamente poco da fare. Di fronte a un quadro del genere, o c’è una presa di coscienza di tutti i Paesi oppure lo scontro e il dramma sull’Africa saranno inevitabili”.
Per questo, è la conclusione strategica che ne trae Prodi, si è a un punto di rottura. “Se vogliamo davvero superare questa situazione esplosiva, non c’è altro rimedio al mondo che un grande accordo tra Unione europea e Cina sull’intervento in Africa. Aprire un dibattito con un’utopia può essere provocatorio, ma è utile per capire come stanno veramente cose”.