Si può vivere accanto all’Isis? Lo spirito cristiano in tal senso aiuta, visto che secondo esso bisogna dare un’altra possibilità agli altri. Anche perché prima o poi bisogna ricominciare a vivere. Padre Georges Jahola, sacerdote della chiesa siro-cattolica di Qaraqosh, è convinto che creare un’atmosfera di sicurezza in Iraq non è semplice, ma è fondamentale tanto quanto ricucire i rapporti umani. «Nei villaggi intorno alla nostra città ci sono alcune persone coinvolte direttamente nei crimini dell’Isis, altre che lo sono di meno… Comunque, non è compito nostro giudicare», ha raccontato al Corriere della Sera. Dopo la liberazione della città padre Jahola ha censito la popolazione, mappato e fotografato le case e fatto stimare i costi della ricostruzione. «Nel giro di tre-quattro mesi dal maggio 2017 la gente ha trovato il coraggio e la forza di tornare». Nel settembre sono state sistemate le scuole, «altrimenti non sarebbe stato possibile ricominciare». Ma per far tornare gli studenti era importante anche trovare delle abitazioni dove farli vivere con le famiglie. «Così in quattro o cinque mesi, è ricominciata la vita: è stato un grande conforto vedere bambini e famiglie in giro, non più soltanto militari e operai».
PADRE JAHOLA E LA RINASCITA DI QARAQOSH DOPO L’ISIS
La missione di padre Georges Jahola è compiuta. In sei mesi ha fatto tornare alla normalità Qaraqosh, ma c’è comunque ancora tanto da fare. Ci sono sei chiese su dodici ancora danneggiata, ma la priorità sono le case. «Prima abbiamo pensato alle abitazioni: la preghiera si può fare in qualsiasi posto», ha raccontato al Corriere della Sera. I rapporti con i villaggi musulmani sono normali. «Punire i colpevoli spetta alle autorità. Da parte nostra, conviviamo con quello che c’è», ha detto padre Jahola in riferimento a chi si unì all’Isis. Esistono programmi per aiutare i cittadini ad affrontare e superare i traumi, anche se ci vorrebbe una clinica, ma quello delle famiglie spezzate è un vero dramma. «Questa è per noi una ferita che non si può rimarginare. I mattoni si possono mettere l’uno sull’altro, ma le famiglie spezzate, che vivono in continenti lontani, sono qualcosa a cui non possiamo porre rimedio». L’esperienza di questa città “liberata” nell’ottobre 2016 è l’esempio su quanto sia difficile la ricostruzione, ma la tempo stesso importante.