È stato costretto a vestirsi da donna il giorno del suo matrimonio perché la famiglia del fidanzato non accettava l’omosessualità del figlio. A raccontare questa storia è Roy Singh, un giovane gay di 29 anni che è arrivato a tentare il suicidio dopo nove mesi di abusi. Pensava che quello fosse un compromesso per sposare l’uomo della sua vita. Invece gli fu imposto di fingere di essere donna anche dopo le nozze. Questo perché la famiglia Sikh del marito, che vive in Gran Bretagna, non voleva che si sapesse che il figlio fosse gay. Roy era così innamorato che accettò quelle condizioni e si trasferì a casa loro a Londra. Ma quel compromesso ben presto si trasformò in un incubo, e non solo perché era costretto a indossare una parrucca e tacchi alti. Era trattato peggio di Cenerentola: lavorava 18 ore al giorno, era costretto anche a lavori domestici umilianti. Una volta per aver salato troppo il cibo fu chiuso in un armadio per punizione. «Dovevo svegliarmi alle 6 del mattino per preparare la colazione e cucinare tutti e tre i pasti al giorno, ma non mi era permesso di mangiare. Mi dicevano che ero troppo grasso». Cercava conforto nel marito, ma non avevano quasi mai tempo per stare insieme.
GAY COSTRETTO A VESTIRSI DA DONNA PER SPOSARE IL FIDANZATO
La famiglia di Roy Singh ha scoperto tutto quando le foto del matrimonio apparvero su Facebook. La suocera lo obbligò a far visita ai suoi genitori vestito da donna. «La presero molto male e mi dissero di non tornare più a casa». Umiliato dalla famiglia del marito, non si è sentito compreso neppure dalla sua. «Mi sono sentito fuori posto, non sapevo più chi ero». Era convinto di essere compreso solo dal marito, che però decise di sposare una donna. Decise allora di suicidarsi. «Mi rimisi il mio abito da sposa e scesi al fiumi. Lì mi tagliai i polsi. Visto che mi avevano reso sua moglie, volevo ucciderla. Volevo che mi vedessero morire come sua moglie», ha raccontato il 29enne al Mirror. Ma un passante salvò Roy, che fu portato in ospedale. La sua famiglia si prese cura di lui e lo riaccolse. Ora si esibisce nel ruolo di “Miss Lucky”, dice per recuperare la sua identità. «Volevo assumermi la responsabilità di ciò che è successo. Questo è il mio modo di farlo». Ma le ferite non si sono ancora rimarginate. «Non riesco ancora a dormire. A volte mi sveglio urlando “Non sono una donna”. Non voglio che questo accada ad altri».