L’orrore seminato dallo stato islamico comincia a venire in superficie, benché si fosse ben a conoscenza del genocidio operato dall’Isis durante il breve periodo di dominazione su parte dell’Iraq e della Siria. Fosse comuni erano già state scoperte dopo la liberazione, ma mai in numero così massiccio come adesso. Nelle province di Ninive, Kirkuk e Salaheddin in Iraq sono venute alla luce 202 fosse comuni: secondo l’Onu, che coordina le operazioni, dentro ci sarebbero sepolti da un minimo di 6mila corpi a un massimo di 12mila, cifre impressionanti. Al momento si sono esaminate 28 fosse comuni e il numero dei resti trovati corrisponde a quello di 1258 persone. I corpi in maggior parte dovrebbero appartenere alla minoranza yazidi, quella più perseguitata, le cui donne e ragazzine venivano fatte schiave del sesso mentre i maschi venivano trucidati in massa.
IL GENICIDIO OPERATO DALL’ISIS
“Le fosse comuni documentate nel nostro rapporto sono un testamento di una straziante perdita umana, di una profonda sofferenza e di una scioccante crudeltà stabilire le circostanze di queste enorme perdita di vite umane sarà un passo importante nel processo di lutto delle famiglie e nel loro cammino per vedere riconosciuti i loro diritti a verità e giustizia” ha detto il rappresentante Onu in Iraq, Jan Kubis. I resti ritrovati, ha aggiunto, potranno costituire materiale utile a indagini credibili e quindi a condanne. Tra i 2014 e il 2017, ha concluso, gli jihadisti hanno compiuto “violazioni sistematiche dei diritti umani e del diritto umanitario – atti che possono costituire crimini di guerra, crimini contro l’umanità e un possibile genocidio”. L’Onu in realtà aveva già pronunciato una sentenza di genocidio ai danni dell’Isis.