“GIUSTO FAR MORIRE CHI NON VEGANO”: LA TESI FOLLE DEL FILOSOFO DI OXFORD (NON VEGGIE!)
Michael Plant si autodefinisce sulla sua pagina della Facoltà di Oxford come «filosofo della felicità»: evidentemente deve essere “felice” lanciare la provocazione tutt’altro che sensata in merito al dibattito (già di per sé iper-abusato) sul veganesimo. Ebbene, l’ultima trovata del giovane accademico dell’Università di Oxford ormai l’abbiamo già sdoganata nel titolo: «lasciare morire e annegare i mangiatori di carne è giusto a causa della sofferenza che causano agli animali». Un’argomentazione choc che punta dritto a sostenere come sia in qualche modo giusto lasciare morire chi, in fondo, non è un vegano convinto (cosa che tra l’altro lo è lui peri primo, mangiatore di carne convinto). L’argomentazione del “prof” di Oxford è stata presentata dal Dailymail e parte da due “credenze” piuttosto comuni: «gli esseri umani hanno il dovere di salvarsi a vicenda quando ciò ha un costo irrisorio». L’esempio è semplice, ovvero salvare un bimbo che sta annegando in uno stagno con l’unica “pena” che è quella di sporcarsi i vestiti.
Il secondo credo comune, spiega il filosofo dottor Plant, è che «è sbagliato mangiare carne a causa delle sofferenze che gli animali possono provare negli allevamenti intensivi». Dal conflitto tra queste due “sentenze” dettate dal docente, ne emerge quanto segue: «Sostengo che, se il consumo di carne è sbagliato per motivi di sofferenza degli animali, una volta considerata la quantità di sofferenza che potrebbe verificarsi, inizia a sembrare plausibile che salvare gli estranei sarebbe il male più grande del non salvarli e, quindi, non è necessario dopo tutto».
MICHAEL PLANT, I VEGANI E L’ATTIVISMO OLTRE REALTÀ…
La tesi dei Plant sul lasciar morire un non vegano è stata presentata sul “Journal of Controversial Ideas”, anche se sul tema posto “The Meat Mater Problem” nutriamo forti dubbi circa il concetto di “idea” sostenuto dal professore di Oxford. Va ammesso come Michael Plant sostenga che per la maggior parte dei lettori la sua tesi possa essere considerata assurda (già!) eppure ribatte tutto convinto, «un anno di una persona che mangia carne equivale all’incirca a cinque anni di polli che soffrono in condizioni abominevoli, il “benessere negativo” totale creato da quella persona nel tempo è piuttosto grande».
Il passaggio successivo di Plant è quella di ragionare se in quello stagno non ci fosse un bambino o un non vegano, ma un dittatore: «Il motivo per cui accettiamo seriamente di non salvare il dittatore che sta annegando è che, mentre il miglior risultato sarebbe se lo salvassi e poi lo convincessi con successo a smettere di fare cose cattive, riconosciamo che questo risultato non è affatto probabile». Secondo il docente insomma vi sarebbe una «tensione profonda e sottovalutata tra le convinzioni di salvare vite e non mangiare negli allevamenti intensivi. Anche se normalmente non considereremmo queste convinzioni rilevanti l’una per l’altra, ho insistito sul semplice problema che, se abbiamo queste preoccupazioni per il benessere degli animali, allora, quando le spieghiamo, riduce, e può rimuovere, l’obbligo di salvare gli altri». I ragionamenti per assurdo, le controversie sono pane della filosofia non da oggi: il problema è quando essi fungono da “sprone” per un ragionamento ben più profondo, e quando invece si tratta di meri strumenti “choc” per far parlare di sé. O peggio, per insistere sul concetto che una vita “etica” e “giusta” è quella che segue la moda-ideologia del momento: oggi è il rispetto dell’ambiente, degli animali e del clima. Ieri invece…