La recente pubblicazione dell’ampio e documentato Rapporto di sostenibilità 2021 riguardante lo stabilimento di Taranto di Acciaierie d’Italia merita, a nostro avviso, di essere segnalata non solo agli osservatori più attenti che sono gli addetti ai lavori, ma anche a una più vasta opinione pubblica perché il documento, secondo le intenzioni dell’azienda, avvia un percorso annuale di rendicontazione in materia di sostenibilità. Esso, infatti, rappresenta la base sulla quale la Società, con cadenza annuale e con tempistica allineata con quella di redazione del bilancio di esercizio, si impegna a fornire informazioni sui processi interni ed esterni all’impresa che siano di interesse per i propri stakeholder.
Una decisione di rilievo quella assunta da Acciaierie d’Italia che riprende quanto era stato interrotto nel 2011, anno in cui venne pubblicato l’ultimo Rapporto di sostenibilità. Si disporrà così ogni anno di un testo da analizzare con rigore analitico e con ottiche sperabilmente scevre da posizioni pregiudiziali e fondate invece solo su letture di merito squisitamente tecnico di tutti gli aspetti riguardanti il grande sito di Taranto che – non lo dimentichi mai – è tuttora per numero di addetti diretti la più grande fabbrica manifatturiera d’Italia, oltre che la maggiore acciaieria a ciclo integrale d’Europa, e che pertanto nel 2012 è stato classificato dal Parlamento italiano come “sito di interesse strategico nazionale”.
Uno stabilimento resiliente
Le pesanti difficoltà che esso sta attraversando a causa: 1) del rinvio della definizione della struttura societaria fra Invitalia e Arcelor al 2024; 2) del parziale utilizzo dei tre altiforni in esercizio con volumi di produzione ben al di sotto dei 6 milioni di tonnellate annue consentite durante l’attuazione delle misure dell’Aia; 3) dell’aumento del costo dell’energia e delle materie prime; 4) del ricorso sistematico alla cassa integrazione per un tetto massimo di circa 3.500 addetti; 5) dei ritardati pagamenti delle imprese dell’indotto, e soprattutto: 6) a causa della persistente carenza di liquidità, per mancanza di credito bancario, che costringe la società a lavorare solo “per cassa”, potrebbero indurre alcuni osservatori a ritenere che l’assetto complessivo della società e degli impianti sia ormai in una situazione sommariamente definibile di sostanziale predecozione.
Nulla di più errato: grazie infatti allo strenuo impegno quotidiano del vertice aziendale, della prima linea del management di fabbrica, all’eroica ma ormai stremata capacità di resistenza di operai, quadri, impiegati e intermedi occupati nello stabilimento o in cig, e all’ammirevole capacità di resilienza delle aziende dell’indotto pagate in ritardo, la grande fabbrica sta riuscendo complessivamente a “tenere” sul mercato, mentre Confindustria, Sindacati, Federacciai e grandi imprese meccaniche nazionali hanno chiesto con rinnovata determinazione al nuovo Governo l’accelerazione di interventi che puntino al consolidamento della compagine societaria e a nuovi investimenti sugli impianti verso la graduale decarbonizzazione dei loro cicli produttivi.
Allora il Rapporto di sostenibilità presentato nei mesi scorsi con l’ampia mole di dati comunicati dall’azienda documenta gli interventi quotidianamente compiuti per completare gli investimenti imposti dall’Aia e per conservare e rafforzare sul mercato l’imponente acciaieria.
Ricordarne la storia
Essa, com’è noto, è il cuore produttivo dell’intera organizzazione di Acciaierie d’Italia Holding e ne rappresenta il 90% in termini di impatto occupazionale, economico ed ambientale e, per tutti coloro che non ne siano a conoscenza o l’abbiano dimenticato o fatto dimenticare, nel testo del Rapporto se ne ricordano sia pure brevemente gli anni di avvio dell’area a caldo con i primi due altiforni, l’ampliamento del ’68-’70 e il ‘raddoppio’ del ’70-’75. Un Siderurgico, aggiungiamo noi, che dal 1957 fu voluto fortemente da classi dirigenti, parti sociali e cittadini tarantini, a fronte della drammatica crisi strutturale e occupazionale della storica industria navalmeccanica locale. Sulle mobilitazioni popolari di quegli anni esiste ormai da lungo tempo un’ampia bibliografia scientificamente rigorosa che sarebbe opportuno rileggere e far rileggere a coloro che invece stanno tentando di cancellare nella memoria stessa dei Tarantini il ricordo degli anni in cui la città lottava (anche nelle piazze) per ottenere quella fabbrica perché, come disse il Sindaco dell’epoca, “aveva fame” e perciò chiedeva disperatamente pane e lavoro.
In questo articolo per mancanza di spazio ci soffermeremo solo su ricavi, livelli occupazionali, tipologie di prodotti, clienti in Italia e all’estero, ordini ai fornitori divisi per aree geografiche, e investimenti del 2021: insomma, su tutto quanto il sito ha impiegato lo scorso anno in termini di risorse umane, minerali di base, forniture di terzi e funzionamento degli impianti, generando rilevanti ricavi, mentre sugli aspetti concernenti l’impatto ambientale e le sue progressive mitigazioni, illustrati con particolare ampiezza nel Rapporto, sarebbero auspicabili qualificate testimonianze e interventi opportunamente documentati di funzionari dell’Ispra e dell’Arpa – che conducono i rilievi sull’attuazione dell’AIA e i monitoraggi costanti sulle emissioni – della Asl e dello Spesal, se del caso del Cnr, e del Politecnico di Bari, per quanto di rispettiva competenza.
Alcuni dati significativi
Nello stabilimento sono impiegati 8.165 addetti così suddivisi, 8.122 uomini e 43 donne. Le categorie di inquadramento degli occupati registrano 39 dirigenti, 103 quadri, 1.524 impiegati, 865 intermedi e 5.604 operai.
Le classi di età vedono 27 persone con meno di 30 anni, 6.936 fra i 30 e i 50, e 1.202 con più di 50 anni. Per sede di provenienza, 6.993 addetti giungono dal capoluogo e dalla sua provincia, 1.113 da altre province della Puglia e 59 da fuori regione.
Lo scorso anno i ricavi netti di esercizio del sito sono stati di 3.397 milioni, rispetto ai 1.618 dell’anno precedente, con un margine operativo lordo positivo per 346,8 milioni, un risultato ante imposte positivo per 101,8 milioni, e con imposte per 223,2 milioni e un costo del lavoro pari a 349,5 milioni.
L’output dello stabilimento nel 2021 ha toccato i 4,1 milioni di tonnellate, rispetto ai 3,4 dell’anno precedente, ed è stato costituito per il 90,5% da coils e derivati – che coprono il 77% del mercato nazionale – per il 6% da lamiere da treno (40% del mercato italiano), per il 3% da tubi-forma (65% del mercato domestico), e per lo 0,2% da tubi ERW, pari al 44% del mercato italiano.
I prodotti finiti sono stati spediti per l’87% – pari a 3,3 milioni di tonnellate – via mare, alimentando così le movimentazioni portuali insieme a quelle delle materie prime – per l’11,9%, corrispondenti a 524mila tonnellate, su strada, interessando così un numero rilevante di mezzi di trasporto su gomma, e poco più di 20mila tonnellate, equivalenti all’1,1%, su ferrovia.
I fornitori di beni e servizi sono ammontati in totale a 2.100, dei quali 320 in Puglia, e di questi 221 operano in provincia di Taranto, mentre 60 sono nel Barese, 23 nel Brindisino, 11 nel Leccese, 3 nella Bat e 2 in Capitanata.
Per quel che concerne gli importi di quanto è stato ordinato ai fornitori pugliesi, nel 2021 essi sono ammontati in totale a 374,7 milioni, dei quali 279,8 per quelli della provincia di Taranto, 53,6 milioni per i Baresi, 29,8 per i Brindisini, 11,2 per i Salentini, 20mila euro per quelli della Bat e 270mila euro per i Foggiani.
Il 70% della produzione di Taranto si destina al mercato interno e il 30% all’esportazione. I clienti dello stabilimento sono 489 in Italia, che ne comprano il 75,9% dei volumi venduti, 200 nell’Ue (senza il nostro Paese), corrispondenti al 20% degli stessi volumi, 28 extra Ue che ne assorbono il 3,6% e 15 nel resto del mondo che ne acquistano lo 0,5%. Nell’Unione europea 24 clienti sono in Germania – che acquistano l’8,4% dei volumi del sito – e 48 nella penisola iberica che assorbono il 5,8% dell’output ionico.
In Italia il 50,5% dei prodotti spediti lo scorso anno è stato destinato a 115 utilizzatori del Nord Est, il 33,2% a 170 del Nord Ovest, e il restante 16,3% a 253 del Centro Sud, per un totale nazionale di 538 unità, numero difforme da quello del clienti, perché possono esservi più utilizzatori riforniti da uno solo di essi.
Qualche considerazione conclusiva
I dati appena riportati, pur nella loro evidente schematicità, sono significativi, a nostro avviso, perché dicono molte cose – su cui in tanti dovrebbero riflettere a fondo – e cioè che il sito, pur fra le enormi difficoltà richiamate in precedenza, è stato in grado di aumentare la produzione nel 2021, di esportarne il 30%, di realizzare un risultato positivo ante imposte, di conservare in tutte le gamme dei suoi prodotti, e in forte competizione con concorrenti nazionali ed esteri, quote molto elevate del mercato nazionale – soprattutto al Nord con cui è saldamente integrato – e di conservare ancora una clientela estera di apprezzabili dimensioni.
Gli effetti indotti del Siderurgico tarantino inoltre coinvolgono centinaia di fornitori in Italia, di cui quelli locali sono la quota più elevata nella supply chain pugliese.
Allora questo grande patrimonio tecnologico nazionale deve essere quanto prima consolidato sotto il profilo societario, patrimoniale ed economico-finanziario, ammodernato, reso sempre più ecosostenibile e difeso come fonte di occupazione altamente qualificata per tutti coloro che vi lavorano e restare una grande risorsa strategica al servizio di Taranto, della Puglia e del Paese. Il nuovo Governo pertanto deve scendere in campo quanto prima per il suo pieno rilancio.
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