È arrivato il momento di tirare le somme complessive sull’andamento dell’export agroalimentare nel corso dell’intero 2024, chiudendo il cerchio che abbiamo aperto lo scorso novembre con i report di Intesa Sanpaolo – realizzati sempre dal Research Department del gruppo bancario – sull’andamento del mercato agrifood del nostro bel paese all’estero: già a novembre sui dati dei primi sei mesi dell’anno si era notata una positiva crescita del settore, ulteriormente confermata poi nella seconda edizione – questa, con dati che arrivavano fino al settembre dello scorso anno – del report di Intesa Sanpaolo; mentre oggi la Direzione Agribusiness (parte della Banca dei Territori guidata da Stefano Barrese) la pubblicato tutti i dati al 31 dicembre 2024.
L’aspetto che salta immediatamente all’occhio è che lo scorso anno il settore agroalimentare ha generato – di solo export – più di 28 miliardi di euro in crescita di addirittura il 7,1% (pari a 1,9 miliardi) rispetto al 2023: non sorprende che la Germania sia rimasta il primo mercato per gli alimenti italiani, seguita ancora dalla Francia e dal Regno Unito (tutte e tre cresciute, tra lo 0,4% inglese e il 6,9% tedesco); mentre è interessante che siano stati gli Stati Uniti a registrate la maggiore crescita rispetto al 2023 con un volume di affari superiore del 14,9 per cento.
Esattamente come nelle altre due rilevazioni di Intesa Sanpaolo, restano i mercati emergenti – tra Polonia, Romania e Cina con valori tra il 9,7 e il 15,3 per cento in più – quelli a registrare la maggiore crescita rispetto a quelli sviluppati (7,7% vs 6,9%): tutti dati – poi arriveremo al dettaglio sui comparti – che secondo il responsabile Agribusiness del gruppo bancario Massimiliano Cattozzi dimostrano la “forza competitiva delle nostre filiere” e il sempre più vasto interesse internazionale per “prodotti di qualità, identitari e sostenibili“.
Il report di Intesa Sanpaolo sui comparti dell’agroalimentare: l’olio è il primo prodotto comprato all’estero
Venendo al report complessivo di Intesa Sanpaolo, lo scorso anno ad aver ottenuto i risultati migliori è stato il comparto dell’olio cresciuto di oltre il 40% con la produzione toscana che registra i dati migliori – ovvero una crescita del 43,5% pari a 419 milioni di euro -, seguita da quella umbra e da quella barese – rispettivamente +26,5% e +47,6% – in larga parte (32,7%) destinate al mercato statunitense; mentre la filiera della pasta e dei dolci continua a detenere il secondo posto con una crescita lo scorso anno pari al 7,8% e un vero e proprio boom (+16,5%, ovvero 304 milioni) per i prodotti di Alba e Cuneo.
Innegabile tra i comparti dell’agroalimentare anche l’apporto dei vini che lo scorso anno hanno generato più di 6,7 miliardi di euro pur crescendo solamente di un sostenuto 4% e pur vedendo un lieve arretramento (-1,7%) per le produzioni di Langhe, Roero e Monferrato, anche in questo caso con gli USA che rappresentano il primo importatore con circa un quarto dell’export totale: dato – quest’ultimo sulle vendite verso gli States – che torna anche se guardiamo al comparto lattiero-careario che secondo Intesa Sanpaolo è cresciuto del 6,1% grazie soprattutto alle produzioni di parmensi e sarde particolarmente apprezzate oltreoceano.
Complessivamente – rileva Intesa Sanpaolo – tutti i comparti dell’agroalimentare italiano sono cresciuti in modo importante e sostanziale tra il settore agricolo che ha generato più di 4,1 miliardi (ovvero il 4,7% in più rispetto al 2023), la filiera delle conserve con la sua crescita del 3,5 per cento, le carni e i salumi che sono balzati in avanti del 5,3% in un solo anno, il caffè con il suo ottimo aumento del 9,5 per cento e ancora il 10,8% in più registrato dall’ittico; mentre solo il riso sembra aver perso terreno, arretrando dell’1,7% rispetto all’anno precedente.