Fabrizio Mori 20 anni fa vinceva l’oro ai Mondiali di Siviglia 1999 nei 400 ostacoli. Sono passati moltissimi anni, ma quello resta ancora l’ultimo oro iridato per l’Italia dell’atletica leggera in pista, dal momento che da allora le poche soddisfazioni sono per noi arrivate dai salti oppure dalle gare sulle grandi distanza in strada. D’altronde, anche allora Fabrizio Mori non era il grande favorito dal “basso” dei suoi 175 centimetri, al cospetto dei tanti colossi che abitano questa specialità. Mori si è raccontato in una bella intervista per il quotidiano Libero, nella quale il livornese ha ricordato così quei giorni: “Fu bellissimo a Siviglia perché sapevo di stare bene. È quello che cerco di trasmettere ai giovani: devi fare tutto per arrivare pronto e determinato ai grandi appuntamenti. Mi ero allenato tra la sede delle Fiamme Gialle di Ostia e il Centro di preparazione olimpica di Tirrenia sempre nelle ore più calde. Le batterie a Siviglia erano previste tra le 11 e le 12 e le previsioni erano bestiali. Andò tutto bene nei tre turni e la vittoria fu comunque un fulmine a ciel sereno in una gara che di solito è predominio assoluto degli americani”, che invece rimasero clamorosamente fuori da un podio tutto europeo, con il francese Stephane Diagana e lo svizzero Marcel Schelbert alle spalle di Mori. Il marchio di fabbrica di Fabrizio Mori era il gran finale con proverbiale rimonta: “Facevo 14 passi fino al settimo ostacolo per chiudere in 15, allora e oggi molti sparano subito 13 passi – racconta a proposito della tecnica e tattica di gara -. Ero sicuro del mio finale e quando vidi Diagana e gli altri vicini all’ottavo ostacolo capii di poter fare un bel risultato, ma nei 400 hs non puoi mai stare tranquillo fino all’ultima barriera. Sono orgoglioso perché è un titolo che la federazione ricorda sempre ai giovani per spronarli a impegnarsi al massimo”.
FABRIZIO MORI SI RACCONTA, 20 ANNI DOPO L’ORO MONDIALE
Proprio questo è il messaggio che Fabrizio Mori lancia a tutti. Lui seppe battere i giganti pur avendo un fisico normale e racconta così il suo segreto: “Se loro lavoravano cinque, io col mio fisico dovevo lavorare 15. Lo ripeto sempre ai ragazzi che alleno (alle Fiamme Gialle, ndR). Noi italiani non abbiamo una base di quattrocentisti veloci che poi si dedica agli ostacoli, magari come gli Usa. Allora devi lavorare sulla ritmica e sugli ostacoli per avvicinarli. Guardando indietro rifarei tutto: i viaggi in Sud Africa e alle Canarie in inverno, il lavoro nei Cpo con grandi volumi. Vivevo e lavoravo per l’atletica a 360 gradi, forse è quello che manca un po’ oggi”. I numeri recenti sono un pianto: zero medaglie ai Mondiali 2015 e ai Giochi di Rio 2016, un solo podio nella marcia nella rassegna iridata 2017. Negli ultimi mesi arrivano segnali di rinascita dai settori giovanili con eccellenti risultati almeno a livello europeo, ma resta un periodo molto difficile, che Mori spiega così: “Non siamo riusciti a trovare in una base enorme il fenomeno capace di fare il grande risultato al momento giusto. Ci sono stati tanti cambiamenti nella Fidal, magari non tutti positivi nell’ottica di questo professionismo. Abbiamo dei talenti, ma manca la direzione univoca indicata dall’alto. Negli altri Paesi ce l’hanno ben chiara, lo vedi con gli atleti che si allenano a Formia. Noi mettiamo troppe parole sul tavolo e ognuno vuol dire la sua”. Fondamentale è la programmazione della stagione, Mori evidenzia questo aspetto – a maggior ragione, con i Mondiali slittati quest’anno in autunno: “Il calendario è diventato pazzesco. Quando inizi a fare tempi interessanti, scatta un’atletica diversa a partire dalla Diamond League. Vuol dire finire su un palcoscenico pesante, dove devi fare 3-4 gare di alto livello in tre settimane: è dura anche a livello mentale. Tortu ha avuto il primo impegno importante a maggio a Yokohama per la qualificazione iridata della staffetta, come si fa a rimanere in forma fino a ottobre?”.