Lo scorso 10 aprile è stato rilasciato il dato sull’inflazione statunitense (Cpi), il quale si è attestato al 2,4%, in diminuzione rispetto al 2,8% dello scorso mese e sotto il 2,5% atteso dagli analisti. Mensilmente è stato registrato un calo dello 0,1%, dovuto principalmente al calo della componente energetica e dei servizi.
La componente dell’energia è scesa del 2,4% rispetto al mese precedente, mentre quella del cibo è aumentata dello 0,4%. La categoria degli alimenti continua a mantenere un ritmo sostenuto di crescita, che potrebbe pesare ancora sulle tasche dei cittadini tramite il carrello della spesa e acquisti di prima necessità, mentre l’energia ha in parte contribuito al calo del Cpi.
Grafico 1 – Cpi Usa
L’inflazione al netto di cibo ed energia si è attestata invece al 2,8%, rispetto al 3,1% dello scorso mese: si tratta del minor incremento registrato dal marzo 2021. All’interno troviamo la componente dei servizi, la quale è aumentata dello 0,1%, in rallentamento se comparata agli scorsi dati mensili che oscillavano fra lo 0,3% e lo 0,5%. La sottocategoria dello shelter ha rallentato lievemente la sua crescita, con un incremento mensile dello 0,2%, rispetto allo 0,3% dello scorso mese, mentre i servizi di trasporto hanno registrato un forte calo dell’1,4%. I servizi medici, invece, hanno subito un incremento dello 0,5%.
In generale l’inflazione sta tornando in prossimità del target del 2%, obbiettivo tanto atteso da diversi anni da parte della Banca centrale. La componente dei servizi sta mostrando dei cenni di rallentamento, sebbene molto lievi, ma se dovessero protrarsi nel tempo aiuterebbero molto il raggiungimento finale del 2%.
La nuova variabile che scombussolerà le carte in tavola e le politiche monetarie da attuare è, però, rappresentata dalla politica commerciale del Presidente Trump, la quale avrà con molta probabilità impatti inflazionistici sul Paese.
Dalle ultime proiezioni del Fomc, la Fed prevede due tagli durante questo 2025, con un tasso di disoccupazione atteso al 4,4% (attualmente 4,2%) e un PCE inflation al 2,7%. Al netto della nuova variabile Trump, la situazione di politiche monetarie era ben bilanciata per riportare al target l’inflazione, con minime conseguenze sul tasso di disoccupazione e una crescita economica ancora forte. Ora la questione dazi potrà sconvolgere molte cose nel medio termine, con dei prezzi al consumo che potrebbero subire un aumento verso la seconda metà dell’anno, con possibili riscontri negativi sulla crescita economica, dato l’impatto che le politiche commerciali protezioniste avranno sulle aziende americane.
La Banca centrale avrà perciò un ruolo molto delicato, dovendo monitorare molto da vicino il proseguirsi dei dati macroeconomici per calibrare al meglio le politiche monetarie. Dando un’occhiata allo storico inflazionistico dello scorso anno, è probabile che l’inflazione continui a diminuire leggermente nelle prossime due letture mensili, per poi stabilizzarsi se non ritracciare al rialzo nella seconda metà dell’anno, in vista dei rischi geopolitici e quindi inflazionistici citati sopra.
Perciò, nonostante l’inflazione abbia quasi raggiunto l’obbiettivo sognato da Powell negli ultimi 4 anni, si riapre una nuova sfida, che potrebbe non essere visibile nell’immediato, ma che potrebbe avere riscontri nei prossimi trimestri se non tenuta in doverosa considerazione.
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