La Fed ieri ha lasciato invariati i tassi al 4,5% rispettando le attese degli investitori. Dalla riunione di marzo, prima del “Liberation day” di Trump del 2 aprile, è cambiato molto; i mercati hanno vissuto una fase di volatilità che non ha molti paragoni nella storia recente e da allora gli investitori vivono alla giornata in attesa di capire come si concluderà la guerra commerciale.
Si può anche assumere che nessuno dei due contendenti, Cina e Stati Uniti, voglia accelerare troppo il confronto ,ma l’incertezza sulle conseguenze di breve periodo rimane. Powell nelle ultime settimane è stato attaccato a più riprese da Trump per non aver tagliato i tassi nonostante la discesa dell’inflazione. Nonostante questo il presidente della Fed, ancora una volta, ha deciso di aspettare sintetizzando la propria posizione in uno scenario in cui sono saliti sia i rischi di inflazione che quelli di aumento della disoccupazione.
In questa situazione Powell dichiara di non poter agire d’anticipo; questo è quello che vorrebbe Trump e forse anche i mercati che comunque sono già tornati ai livelli del primo aprile. Non è chiaro, e lo spiega il Presidente della Fed, se i rincari derivanti dai dazi siano un una tantum o inneschino un processo di lungo periodo e non è neanche chiaro quali possano essere le ripercussioni sull’economia.
Su questo ultimo punto Powell si limita a osservare che i dati economici sono molto più stabili rispetto al “sentiment” di imprese e consumatori. Intanto i prezzi del petrolio sono ai minimi degli ultimi quattro anni e questo è positivo sia per l’inflazione che per i consumi.
Dopo l’annuncio della Fed e la conferenza stampa si è rafforzato il dollaro perché la Banca centrale non ha fretta, per ora, di fare troppo per salvare i mercati. Gli obiettivi di stabilità dei prezzi e massimo impiego potrebbero anche diventare confliggenti nelle prossime settimane e quindi a maggior ragione per Powell è molto meglio attendere per evitare di bruciare inutilmente rialzi o ribassi dei tassi.
Da ormai cinque settimane si vive di annunci e contro-annunci, ma intanto si registrano alcune esenzioni “pesanti” ai dazi imposti sulla Cina. Prima è stata la volta dei prodotti elettronici e poi quella della componentistica per il settore auto; altre trattative sono probabilmente in gestazione e ieri, per esempio, il mercato speculava di una probabile decisione del Presidente americano per sospendere i divieti all’esportazione di chips verso Pechino.
Lo scenario che è emerso nella prima settimana della guerra commerciale con un embargo di fatto sulla totalità dei commerci con la Cina era insostenibile per entrambe le parti. Il cambio di paradigma che emergeva dai primi annunci era troppo violento per poter essere gestito sia dagli Stati Uniti che dalla Cina senza essere ammorbidito. Sono così maturati esenzioni e sospensioni che però non cambiano la traiettoria di fondo che rimane quella di un disaccoppiamento.
Anche assumendo la volontà americana di limitare la pressione sul sistema economico, il processo rimane pieno di rischi e di incognite. Non c’è un solo sviluppo possibile; l’economia americana potrebbe tenere e l’impatto della guerra commerciale potrebbe sul breve essere confinato a un numero limitato di settori non strategici. Questo però nessuno lo può sapere con certezza e ancora meno si può essere sicuri dell’impatto sui prezzi di medio periodo.
Powell, quindi, al momento non può fare altro che quello che è stato fatto ieri e cioè aspettare. Se l’economia tiene i rischi si spostano sui prezzi, ma anche questo è un problema per il dopodomani perché per il domani basta e avanza il crollo del petrolio.
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