“Fenotipi Covid”, si chiama così l’ipotesi scientifica che spiega gli effetti diversi del coronavirus. Ce lo siamo chiesti tutti durante la fase più acuta dell’emergenza e siamo rimasti senza risposte. Ma Mauro Minelli, immunologo e referente per il Sud della Fondazione medicina personalizzata, all’AdnKronos ha fornito delle spiegazioni. «In mancanza di risposte convincenti si può iniziare quanto meno a pensare, per esempio, che il virus possa agire, più che in forza delle sue intrinseche proprietà e capacità, anche e forse soprattutto in funzione delle caratteristiche dell’ospite, e cioè dell’uomo che viene infettato». Questo spiegherebbe perché ora ci sembra meno aggressivo o perché lo sia stato invece in precedenza. Quindi, le condizioni ambientali, sociali, economiche e nutrizionali possono essere uguali, ma qualcuno si ammala di Covid-19 e altri no. E possono essere uguali anche i trattamenti terapeutici intensivi, ma qualcuno muore mentre altri guariscono. A fare la differenza, dunque, sono le condizioni dell’ospite, non solo in termini di patologie pregresse. Per Minelli serve, dunque, un approccio “personalizzato” alle incursioni del coronavirus.
“FENOTIPI COVID SPIEGANO EFFETTI DIVERSI COVID”
L’immunologo Mauro Minelli suggerisce quindi di definire i possibili “fenotipi Covid”, cioè i soggetti che sono più predisposti al contagio e alle relative conseguenze. Queste sono evidentemente «risultanti dall’interazione fra il genotipo, ovvero la costituzione genetica, e determinate influenze ambientali». Questo permetterebbe la “catalogazione” delle diverse presentazioni della Covid-19 in casi differenti per caratteristiche cliniche, biologiche, biochimiche e immunologiche, così da «configurare quadri clinici tanto eterogenei da essere affrontati con trattamenti preventivi e terapeutici del tutto differenti». Il contatto col virus Sars-CoV-2 resta la caratteristica comune, ma gli approcci terapeutici e preventivi devono cambiare a seconda, appunto, di questi “fenotipi”, senza cui è complicato riuscire a gestire l’infezione virale. In questo modo è possibile «fornire finalmente un profilo di rischio individuale oggettivamente valutato sul singolo paziente o semmai su cluster di pazienti omogenei», quindi non ricavato solo da «deduzioni epidemiologiche o da proiezioni impostate, magari, su soli calcoli matematici e statistici».