La cessione in corso di una rete di quotidiani locali del Nordest da Gedi a un pool di investitori guidato da Enrico Marchi merita attenzione (nazionale) su almeno tre livelli intrecciati: la crisi dell’editoria giornalistica; i riequilibri all’interno del capitalismo imprenditoriale; l’evoluzione politica in un quadrante strategico.
La decisione di Gedi di dismettere il blocco storico dei suoi quotidiani locali (lanciati da Carlo Caracciolo poco dopo la nascita di Repubblica) segna la conclusione – di oggettivo insuccesso – della più importante e ambiziosa iniziativa recente di riassetto e consolidamento dell’editoria giornalistica tradizionale in Italia: la fusione fra Espresso-Repubblica e polo Stampa-Secolo XIX (marzo 2016), seguita dall’acquisizione di controllo integrale da parte di Exor (estate 2020), con l’uscita di scena della famiglia De Benedetti.
Il progetto era nato con premesse forti: l’incremento strategico delle dimensioni aziendali (diversamente dall’ingresso coevo di Urbano Cairo come socio-guida in Rcs); le abbondanti risorse finanziarie a disposizione del gruppo Exor per nuovi investimenti e – non ultime – le relazioni internazionali di John Elkann, fra l’altro azionista di rilievo dell’Economist. Le ragioni del mancato successo sono numerose: certamente non ultima l’imprevista disruption portata dalla pandemia anche nella media industry. Ha pesato sicuramente anche la continuità inerziale nel settore di una legislazione obsoleta (fuorilegge nell’Ue), imperniata su duopolio “sovranista” fra Rai e Mediaset nella vecchia tv generalista; e sulla negazione strutturale dell’era digitale (Gedi era candidata naturale a rilevare una rete Rai in caso di privatizzazione, piuttosto che a partnership internazionali di primo livello nelle digital news). Lo specifico di Gedi, infine, ha sofferto anche delle anomalie politico-editoriali di un decennio in cui i riferimenti politici storici delle sue testate (il Pd piuttosto che una figura come Mario Draghi) hanno quasi costantemente occupato le stanze del potere, a fronte tuttavia di un declino storico nei consensi elettorali e nella sintonia con l’opinione pubblica.
Comunque: Gedi Nordest Network (inizialmente affidata a Maurizio Molinari come direttore della Stampa, capofila di tutte le testate locali del gruppo) è a un passo dalla vendita. E il compratore – diversamente da Danilo Jervolino, cui Gedi ha appena ceduto l’Espresso – è una figura tutt’altro che priva di storia e spessore nell’Azienda-Italia. È stato Marchi a introdurre in Italia, alla fine degli anni ’90, uno strumento finanziario complesso e controverso: le cartolarizzazioni di crediti bancari. Che in ogni caso, già una ventina di anni fa, si sono affermate grazie alla Finint: che Marchi ha sempre tenuto a Conegliano, senza mai trasferirla nella City milanese. Qui Finanziaria Internazionale è divenuta una banca, guidata oggi da un Ceo di primo livello come Fabio Innocenzi, già ai vertici di UniCredit e Banco Popolare (Giovanni Perissinotto, già Amministratore delegato delle Generali è tuttora Vicepresidente).
Nel frattempo Finint – a lato dello sviluppo nel corporate & investment banking – si è consolidata come holding di partecipazioni rilevanti. La più importante è quella di controllo in Save, gestore dell’aeroporto di Venezia, ma anche di quelli di Treviso, Verona e Brescia-Montichiari. È da questa posizione che Marchi ha provocato una scissione nell’Assoaeroporti, portando dalla sua parte anche AdR (controllata attraverso Mundys dalla famiglia trevigiana dei Benetton, già soci in Save). Ma è sempre da qui che Save ha avviato un progetto internazionale di ricerca sugli aerocarburanti verdi in partnership con Eni.
È – da ultimo – da questa piattaforma che Marchi ha deciso di allargare i suoi interessi di finanziere e imprenditore ai media: sedendosi al tavolo, come potenziale acquirente per cassa, con Gedi come venditrice. A quel tavolo non hanno invece pensato di sedersi il presidente della Fieg Andrea Rieffeser: a capo di un gruppo con cui Gnn sembrava molto integrabile (Mattino dii Padova, Tribuna di Treviso e Nuova Venezia eccetera da un lato; Quotidiano Nazionale, Giorno in Lombardia, Resto del Carlino in Emilia-Romagna e La Nazione in Toscana). Neppure Athesis (editrice di Arena a Verona e Giornale di Vicenza) ha ritenuto interessante l’offerta di Gedi (salvo – secondo indiscrezioni – dirsi pronta a rilevare la Gazzetta di Mantova, forse in attesa che il gruppo Caltagirone decida a sua volta di disfarsi del Gazzettino).
In definitiva: su Gedi Nordest vuole investire non un editore professionale, ma un finanziere di radici locali e respiro nazionale, appoggiato da alcuni importanti nomi dell’imprenditoria triveneta. Fra questi: il Presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro; il Presidente di Federacciai, Alessandro Banzato, padovano come Enrico De Stefani (Sit) e come la famiglia Nalini (Carel), mentre è trevigiana la famiglia Zanatta (Tecnica). Industriali friulani sarebbero invece d’appoggio all’intervento sul Messaggero Veneto di Udine e su Il Piccolo di Trieste. Importante anche la presenza della vicentina Videomedia non solo in questo operatore televisivo (Tva), ma anche perché segnala la non contrarietà al piano Marchi da parte degli industriali di Vicenza. Ed è su questo versante che il cambio di proprietà di Gnn si riverbera inevitabilmente sul più ampio scenario di Confindustria: quando ormai si approssima la scadenza del mandato di Carlo Bonomi al vertice dell’organizzazione di 110mila imprenditori italiani.
L’evento più importante degli ultimi anni nell’arcipelago di viale dell’Astronomia è stato senz’altro l’emergere di una “super-Confindustria” a Nordest. L’etichetta “Confindustria Centro Veneto” contraddistingue già una realtà associativa unica fra Padova, Treviso, Rovigo e Venezia, ma è già sul tavolo l’integrazione con la friulana “Alto Adriatico”. Resistono per ora Vicenza e Verona, forti di uno storico peso singolo. Ma il “cambio d’epoca” imposto dalla crisi geopolitica aperta dalla pandemia e prolungata dalla guerra russo-ucraina sta mandando in pezzi anche le storiche gerarchie di Confindustria: tradizionalmente dominata dagli industriali piemontesi e lombardi, con periodici inserimenti dal Centrosud. È giunto il momento di un industriale del Nordest? Può essere addirittura lo stesso Marchi? In questa prospettiva l’acquisto dei quotidiani del Nordest è l’assaggio a una possibile offerta per Repubblica?
Su questo fronte è inevitabile anche che l’operazione Marchi-Gnn assuma un peculiare profilo politico. Il mantra che sta accompagnando le trattative dice che il finanziere è vicino al Governatore leghista del Veneto, Luca Zaia. È un’affermazione impossibile da negare, ma anche da asseverare al 100%. L’esperienza finanziaria e imprenditoriale del patron di Finint si è sviluppata ben al di là del Veneto leghista di Zaia. Una Regione che – peraltro – non è più ultraleghista come quella che fra il primo e il secondo lockdown Covid consegnò al Governatore il terzo mandato con l’incredibile maggioranza del 77% (tre anni prima il 57% degli elettori della regione aveva concesso a Zaia un plebiscito reale al referendum sull’autonomia rafforzata). Le ultime politiche del settembre scorso hanno visto Fratelli d’Italia diventare il primo partito in Veneto. E nel vicino Friuli-Venezia Giulia il Governatore leghista Giuseppe Fedriga è atteso stasera a una riconferma come Governatore a statuto speciale: ma con un risultato personale meno brillante rispetto a cinque anni fa e più dipendente dal partito di Giorgia Meloni.
Sia Zaia che Fedriga sono da tempo il simbolo di una sorta di “opposizione interna” nella Lega, su posizioni più moderate rispetto al leader Matteo Salvini. È quindi su uno sfondo politico complesso e fluido che Marchi & Partners di accingono a rilevare una rete di testate tradizionalmente vicine al centrosinistra, peraltro quasi liquefatto nel Nordest. Tutto questo, comunque, al di là di una sfida tutta imprenditoriale: è possibile fare giornalismo locale nel 2023? Con quali equilibri fra ricavi e costi? Con quali scelte tecnologiche ed editoriali?
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