L’Eurogruppo di mercoledì si è detto pronto ad agire per contenere l’impatto negativo sull’economia della diffusione del coronavirus, mentre il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha aperto alla possibilità che gli Stati membri, come l’Italia, possano presentare richiesta, che sarà poi nel caso valutata, per avere margini di flessibilità sui conti pubblici. Dopo il taglio dei tassi di interesse a mercati aperti operato dalla Fed, intanto, la Bce non ha ancora adottato nessuna misura specifica, in attesa della riunione del board in programma giovedì prossimo. Se in Italia si discute tanto dell’adeguatezza delle mosse dell’esecutivo di fronte all’emergenza, che cosa si può dire delle istituzioni europee? «Mi sembra che non stiano agendo come si dovrebbe. Abbiamo comportamenti disordinati dei singoli Stati e non c’è nessun progetto comune di intervento, non si è ancora visto nessun organismo europeo che si sia occupato di coordinare le azioni dal punto di vista sanitario, dei trasporti, della libera circolazione delle persone e delle merci», ci dice Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Dal punto di vista economico invece si parla di un’apertura a valutare le richieste di flessibilità. Cosa ne pensa?
Mi sembra una posizione stupida e dannosa, perché dovrebbe essere l’Europa a muoversi e lanciare un programma di investimenti, capace di dar vita a una politica economica anti-ciclica, con il coinvolgimento della Bce che dovrebbe comprare i titoli emessi per finanziare questa attività. Ci sono poi già i fondi europei da utilizzare per attivare anche l’iniziativa privata mediante cofinanziamenti, che potrebbero anch’essi essere oggetto di titoli da far acquistare alla Bce. Visto che la crisi in Europa stava già emergendo prima dell’emergenza coronavirus, queste iniziative che sarebbero già state utili, oggi sono necessarie.
Confindustria ha chiesto che a livello europeo ci siano investimenti infrastrutturali per 3.000 miliardi in tre anni. È questa la cifra che occorre?
Non vorrei che pretendere di fare troppo non porti poi a non concludere nulla. Anche perché non credo che a livello europeo ci sia una capacità operativa per un piano da 1.000 miliardi l’anno. Senza dimenticare che per far partire dei cantieri occorre avere già dei progetti in mano. Almeno da questo punto di vista l’Italia è avanti, visto che ha molte opere bloccate da procedure burocratiche, che si possono sveltire, o dalla mancanza di fondi. A mio modo di vedere basterebbero 150 miliardi l’anno, circa l’1% del Pil europeo, per avere, tramite moltiplicatore, un effetto quasi doppio. Inoltre, si possono portare avanti anche interventi nazionali.
È possibile pensare che l’atteggiamento europeo risponda alla volontà di mettere in difficoltà alcuni Paesi per avvantaggiarne altri che invece hanno le risorse proprie e i margini per usarle?
Credo sia difficile riuscire a danneggiare uno specifico Paese, perché esistono dei legami economici-finanziari che rischiano di mettere nei guai più di una nazione. Basti pensare alla proprietà francese di certe aziende che operano nel campo della moda in Italia o alla presenza, sempre francese, nel nostro sistema bancario: un problema alla nostra economia rappresenterebbe un guaio anche per quella d’Oltralpe.
Qual è allora la causa di questo “immobilismo” dell’Europa?
Secondo me è un problema culturale, perché l’Ue è stata costruita come organismo burocratico non operativo, che ha più un compito rappresentativo e di controllo degli Stati membri che di azione. Per mentalità gli organismi europei sono quindi inadatti all’operatività. Se dovessi usare un’immagine, direi che mi sembrano più avvocati che ingegneri. Non c’è cultura operativa manageriale. Se non c’è una spinta degli Stati membri, che si coordinano, l’Europa non si muove. In questo senso la situazione è purtroppo aggravata dalla crisi che stanno vivendo i partiti europei tradizionali.
Di questa inazione rischia però di pagare un prezzo altissimo l’Italia, Paese con la crescita più bassa e tra i più colpiti dal coronavirus…
L’Italia deve pensare che esistono i fondi europei e che deve attrezzarsi per far quindi partire quante più opere possibili che oggi sono ancora bloccate.
Cosa pensa invece dell’atteggiamento della Bce?
Non ho dubbi che se ci fosse stato ancora Draghi si sarebbe già mosso. Anche perché le politiche monetarie richiedono un lasso temporale di almeno sei mesi prima di mostrare i loro effetti. Attendere ancora vuol dire rischiare di perdere tutto il 2020. Purtroppo la Lagarde, anche per formazione e precedenti attività, ha un profilo completamente diverso da quello di Draghi: è una giurista con cultura monetaria, mentre il suo predecessore era già stato banchiere centrale, oltre che dirigente del Tesoro e allievo di Caffè. La Bce agirà, credo non possa fare altrimenti. Speriamo non troppo tardi.
Professore, di fatto ci troviamo di fronte a una situazione che sembra dare ragione a chi negli ultimi anni ha criticato l’Europa come la Lega.
Sì, ma non è ben chiaro quale sia per i critici l’idea costruttiva sul da farsi. Non è pensabile ormai poter uscire dall’Ue o prefigurare un suo scioglimento. Ci troviamo in un momento in cui non sembra esserci una guida a un organismo efficace dal punto di vista giuridico, ma non da quello decisionale. Francia e Germania, che finora avevano guidato l’Ue, hanno difficoltà interne. In questa situazione credo che gli Stati membri dovrebbero agire per conto loro e coordinarsi magari a due a due.
(Lorenzo Torrisi)