Anche i mercati hanno un cuore. Lo conferma la reazione ai due terribili colpi da ko incassati l’altro giorno dall’economia globale: il calo del Prodotto industriale lordo cinese, -6,8% nel primo trimestre, per la prima volta in terreno negativo dal ’92; il nuovo balzo dei sussidi di disoccupazione Usa, che nel giro di poche settimane hanno superato la soglia dei 22 milioni.
Lungi dal rappresentare il colpo di grazia, però, queste emergenze sono state l’occasione colta dai listini per rialzare venerdì la testa, a conferma che gli “spiriti animali” sono vaccinati anche contro il coronavirus: i mercati hanno deciso di lasciarsi alle spalle i dati della realtà di oggi per concentrarsi sul futuro. Ma questo presenta una sola certezza: il mondo che uscirà dalla pandemia sarà profondamente diverso, più povero e, se abbandonato a un egoismo miope, destinato a provocare nuovi squilibri, anzi nuovi disastri.
In chiave europea è questo il rischio paventato da Emmanuel Macron nell’intervista al Financial Times dal titolo “È l’ora di pensare l’impensabile”, in cui il spezza una lancia a favore di aiuti consistenti dall’Europa per l’Italia e il resto dell’area mediterranea. “Va creato un fondo per la ripresa continentale che rafforzi le misure anti crisi già prese – sostiene Macron – emettendo debito comune con garanzie comuni per finanziare gli Stati secondo le loro necessità e non secondo la dimensione delle loro economie”. Se si imponesse una visione più avara, continua il Presidente, prima o poi le forze anti-euro prevarranno in Italia e in Spagna, ma forse anche in Francia.
Il futuro, insomma, è legato alla sorte dei recovery bond: un’emissione europea da almeno mille miliardi di euro, finanziata pro quota dai vari Paesi ma da utilizzare secondo i bisogni, non sulle dimensioni delle varie economie. Non è difficile capire che dietro l’improvvisa iniezione di altruismo di Macron c’è un interesse ben preciso: il debito pubblico francese si avvia, nelle condizioni attuali, a precipitare presto a tassi italiani. La diga a protezione di Bot e Btp è la prima linea di difesa per i titoli francesi che sarebbero facilmente travolti dal nostro collasso. Ma l’effetto palla di neve non si fermerebbe a Parigi, ma finirebbe con il minare le basi dell’Europa.
Di qui la sensazione che, anche stavolta, si raggiungerà un compromesso dell’ultim’ora che da una parte rispetterà, almeno formalmente, le indicazioni dell’elettorato del Nord Europa, ma darà una mano sostanziosa ai bilanci del Sud. I sovranisti continueranno a strepitare, accampando pretese assurde e insostenibili, a danno dei propri Paesi, contando sul fatto che è assai più facile prendersela con il vicino piuttosto che pianificare un uso delle risorse all’insegna dell’efficienza.
Ma l’Europa, per importante che sia, è solo una parte di un puzzle assai più grande e impegnativo. Rispetto alla crisi del 2008/09 la pandemia impone una sfida ancor più difficile: allora, infatti, la Cina sfuggì al disastro provocato dal collasso delle banche Usa e fece da traino alla corsa dei Paesi emergenti sostenuti dal boom delle materie prime. Oggi. Al contrario, i cosiddetti emergenti sono i più colpiti dalla crisi economia, oltre che dall’incubo dell’epidemia che può trasformarsi in un massacro. Nella speranza che si possa evitare il peggio, dobbiamo fin d’ora prendere atto che gli effetti della crisi hanno già colpito strutture sociali fragili, anzi evanescenti: dai tagliatori di diamanti indiani, licenziati in massa, ai manovali pakistani cacciati senza complimenti dai cantieri del Qatar, milioni, anzi miliardi di individui senza alcuna protezione sociale rischiano di perdere quanto guadagnato negli anni della globalizzazione.
Eppure, sono bastati pochi mesi per capire i vantaggi del modo solidale. Ne ha preso atto uno degli idoli dei sovranisti, il premier inglese Boris Johnson che ha pubblicamente ringraziato le infermiere indiane che l’hanno seguito nella sua degenza. Ne dovremmo prender atto noi consumatori, già alle prese con i guai di una possibile penuria di braccianti agricoli in arrivo dall’Est e dal Sud del mondo. Insomma, occorre un mea culpa e una prova di consapevolezza: o diamo una mano ai Paesi che rischiano il collasso, con un contributo di investimenti e di ragioni di scambio più eque, oppure la pandemia sociale ci sommergerà.