In vista dell'assemblea di Mediobanca il gruppo Mediolanum affianca il management dell'istituto di piazzetta Cuccia
Il gruppo Mediolanum ha deciso di appoggiare l’offerta lanciata da Mediobanca su Banca Generali. Il polo bancassicurativo pilotato da Massimo Doris vuol dunque sostenere il management di Mediobanca nella principale operazione apprestata per difendere l’istituto dall’offerta ostile lanciata da Mps. Un’offensiva spinta anzitutto dal gruppo Caltagirone – oltre che da Delfin, pure grande azionista sia di Mediobanca che di Generali – con l’appoggio più che tacito del Governo Meloni, che attraverso il Mef partecipa direttamente al Monte.
L’annuncio non giunge inatteso e poggia su visibili motivazioni finanziarie e strategiche. Mediolanum è oggi (con il 3,4%) il primo azionista del patto Mediobanca, per quanto questo sia molto dimagrito da quando Ennio Doris portò il suo gruppo fra i grandi soci di piazzetta Cuccia. Una defezione anticipata sull’Ops Banca Generali – rispetto all’assemblea straordinaria Mediobanca in agenda il prossimo 16 giugno – avrebbe depotenziato l’intera linea di difesa dell’istituto guidato da Alberto Nagel: compromettendo così anche i potenziali benefici per i soci legati a eventuali rilanci finali da parte di Mps. Ma è indubbio che la mossa di Mediolanum confermi le congetture degli analisti anche su un versante più squisitamente strategico del risiko bancassicurativo in corso.
Le inserzioni promozionali con cui Mediobanca sta sostenendo la propria Ops su Banca Generali pongono come obiettivo centrale la creazione di un grande polo nazionale nel wealth management (anche se questo avverrebbe a parziali spese di Generali, di cui Mediobanca è tuttora azionista di riferimento). Ora è difficile non intravvedere già – in caso di successo dell’operazione “nuova Banca Generali” targata Mediobanca – lo spazio di un ulteriore avvicinamento con Mediolanum: anche sulle scia di joint venture già lanciate in passato (Duemme ed Esperia).
La prospettiva acquista ulteriore suggestione considerando che Fininvest è ancora importante azionista di minoranza (30%) di una Mediolanum fondata alla pari da Ennio Doris e Silvio Berlusconi. E la holding della famiglia Berlusconi è stata ufficialmente fino al 2021 anche socio rilevante (2%) del patto Mediobanca (Marina Berlusconi è stata per alcuni anni consigliere d’amministrazione in Piazzetta Cuccia).
Non è noto se da allora Fininvest abbia riacquistato qualche quota (evidentemente sotto la soglia di visibilità Consob del 3%), quale sia eventualmente oggi la sua entità, se essa parteciperà all’assemblea e con quale orientamento. Al momento resta dunque il dato oggettivo del sì a Mediobanca da parte del cda di una joint-venture quotata controllata dagli eredi Doris e dagli eredi Berlusconi. E rimane una dichiarazione di circostanza della stessa Presidente di Fininvest che lo scorso febbraio aveva detto che la holding della famiglia Berlusconi era “spettatrice del risiko”.
Uno scenario fin qui strettamente finanziario non sembra comunque poter sfuggire a una contigua osservazione politica. Fininvest è anche “azionista di riferimento” di Forza Italia: uno dei tre partiti della maggioranza di Governo. Cioè dello stesso centrodestra che è da mesi considerato il grande alleato di Caltagirone in un tentativo di rovesciamento degli equilibri del potere finanziario in Italia, storicamente orbitante attorno a Mediobanca & Generali.
Forza Italia è d’altronde – anche in questi giorni, anche dopo il referendum “vinto” – uno junior partner talora irrequieto nella maggioranza nei confronti di Fdi e Lega. Tanto che non cessano mai i rumor di possibili ribaltoni nello scacchiere politico, con il possibile sganciamento di Fi dalla maggioranza verso ipotetici rimpasti partitici al centro. Ed è un gossip che tende a essere più pronunciato quando nella cronaca politica entra periodicamente la questione del riordino della regulation sul sistema radiotelevisivo.
È una situazione in qualche modo d’attualità, allorché nei giorni scorsi è stato lo stesso senatore Maurizio Gasparri a presentare un disegno di legge per la riforma della governance Rai; mentre sui tavoli dell’Esecutivo è planata una legge-delega per il superamento della legge Melandri sui rapporti fra sport e affari (anzitutto sulla negoziabilità dei diritti televisivi del calcio).
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