Da oggi fino a venerdì – anche se l’offerta potrebbe chiudersi già dopodomani – il Tesoro offrirà agli italiani i Btp Futura: bond appositamente studiati per iniziare a smuovere una parte dell’ingente risparmio degli italiani congelato in disponibilità liquide e canalizzarlo verso investimenti pubblici per la ricostruzione. Ulteriori dettagli dell’emissione sono stati comunicati venerdì. Il titolo avrà durata decennale con rendimenti minimi crescenti (step-up): 1,15% per i primi tre anni, 1,30% per i successivi tre e 1,45% per gli ultimi quattro. Ma i tassi effettivi per i primi due periodi saranno fissati già a fine collocamento, mentre già nel 2021 è in programma una prima verifica sul parametro cui è agganciato Btp Futura: il Pil italiano che si annuncia in ripresa e che potrà far avanzare il rendimento fino al 3%. È inoltre previsto un bonus fedeltà per chi tratterrà il buono fino alla scadenza decennale.
Gli analisti sono al lavoro da settimane sull’appetibilità del titolo “straordinario”, che sembra essere superiore – anche se non di molto e in misura oggi poco determinabile con certezza – a quella offerta da un confrontabile buono “ordinario”. Il Tesoro, dal canto suo, sembra contare sull’abbrivio dato dall’emissione di Btp Italia: che a fine maggio, a Italia non ancora del tutto riaperta, ha raccolto oltre 22 miliardi (di cui più di 13 dal pubblico retail) con un tasso “non zero” e la protezione dall’inflazione (fenomeno peraltro a oggi inesistente). Le previsioni sono quindi di medio tenore: agganciate anche a un minimo di spinta psicologica uscire dall’immobilismo forzato che ha interessato l’intera economia durante l’emergenza-Covid.
Non per questo mancano incognite. O meglio: colpisce il basso profilo tenuto dallo stesso Governo in un passaggio che sulla carta sarebbe teoricamente forte, anche dal punto di vista comunicativo interno ed esterno. Si tratta – bene o male – del primo tentativo concreto di attrarre verso la Ricostruzione quei 1.400 miliardi congelati dagli italiani in disponibilità liquide È un tema sul quale nelle scorse settimane si sono esercitati opinionisti del massimo livello: fra cui l’ex Premier Mario Monti e l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Ma lo stesso ministro Roberto Gualtieri aveva preannunciato mosse strategiche sul versante del finanziamento domestico della Fase 3. Alla stretta del Btp Futura, tuttavia, il clima è tutt’altro che caldo: a cominciare dai deboli riflessi mediatici dell’appuntamento.
Può darsi che il Tesoro tema un esito non del tutto soddisfacente: con il rischio di un rimbalzo negativo d’immagine per un Paese ricco di risparmio privato, ma non è chiaro quanto fiducioso sulla prospettive di ripresa. È vero che anche un successo molto visibile del collocamento potrebbe risultare controproducente su un terreno più politico: offrirebbe infatti argomenti di dimostrazione al teorema “L’Italia può cominciare a fare da sé”, ribadito ancora pochi giorni fa dal Premier olandese Mark Rutte, leader dei Paesi “frugali” Ue. La predisposizione di prestiti nazionali – sui canali della finanza di mercato – è d’altronde l’opzione “soft” a prelievi fiscali di natura patrimoniale sul versante della finanza pubblica. Perché in ogni caso aiutare l’Italia – con il Mes o il Recovery Fund – se il sistema Italia dispone di riserve proprie, a maggior ragione in situazione di debito pubblico fuori parametro?
Incognita per incognita, rimane tuttavia un dato: il Governo italiano non dispone tuttora di un “masterplan” neppure basico per spendere e investire 20 o 50 miliardi raccolti attraverso i Btp Futura, 37 miliardi acquisiti dal canale Mes o altre decine di miliardi che possano essere disponibili dal Recovery. Che sia per questo che di “prestiti nazionali” si è scritto molto nelle pagine dei commenti ma molto meno in quelle di cronaca e – soprattutto – non si è parlato per nulla agli ultimi Stati generali dell’economia?