Da un lato il rifiuto del suicidio assistito come un’opzione, dall’altro l’apertura al dialogo: a prendere posizione sul fine vita per la Chiesa è monsignor Renzo Pegoraro, nominato di recente presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
Ne ha parlato in un’intervista a Repubblica, precisando che il confronto non deve essere ideologizzato, ma focalizzato “sui reali vissuti delle persone“. La Chiesa è pronta a impegnarsi per promuovere il confronto al fine di “individuare percorsi per gestire al meglio queste situazioni“.

Ma il suicidio assistito non può essere la risposta per l’esperto di bioetica e cure palliative, non è la soluzione del problema: anzi, è una sconfitta per tutti, anche perché è inaccettabile non riuscire a fornire cure e assistenza valide, oltre che cure palliative.
“LEGGI CI SONO, VANNO APPLICATE”
Pegoraro spiega, però, che mente e cuore umano sono un mistero e che ci sono casi molto complessi e dolorosi; per questo bisogna stabilire dei “limiti su fin dove arrivare, fin dove spingersi“. A tal riguardo, cita la legge del 2017, che consente di sospendere i trattamenti e procedere eventualmente con la sedazione palliativa profonda, una strada “che può essere accettata dalla Chiesa“, perché significa accettare la morte e assistere il malato nel cammino finale senza che soffra.
Se una persona sceglie di morire perché non vede alternative, questo è invece, per Pegoraro, un fallimento dell’assistenza sanitaria e sociale. Pur ritenendo moralmente illecito il suicidio assistito, incoraggia il dialogo tra posizioni diverse per trovare un punto di equilibrio, perché bisogna individuare mediazioni, anziché imporre visioni.
Dal punto di vista legislativo, il medico e sacerdote ritiene che in Italia vi siano delle leggi valide: quindi, il problema non è la mancanza di norme, ma la scarsa applicazione. “Forse riuscirebbero a risolvere tutte le situazioni più complesse. Se venissero attuate in modo più capillare e preciso, potrebbe succedere che si arrivi a una legge sul suicidio medicalmente assistito e nessuno poi vi ricorra“.
DAI COMITATI ALLE CURE PALLIATIVE
Nell’intervista, inoltre, critica l’idea di un comitato etico nazionale, perché sarebbe distante dalle reali esperienze dei malati, sarebbe “un po’ astratto“. Bisognerebbe puntare, invece, su strumenti etici a livello locale, per essere più vicini ai pazienti.
Per quanto concerne le cure palliative, monsignor Pegoraro è contrario all’obbligatorietà in senso stretto, preferendo che si sperimentino prima, perseguendo un approccio comune in medicina: bisogna tentare prima la cura meno invasiva.
Tornando al fine vita, commentando il caso Toscana, ha espresso contrarietà alla gestione regionale, in quanto può creare disparità tra i cittadini, ma anche perché temi delicati come vita e morte vanno trattati a livello nazionale, per fornire regole uguali per tutti.
Infine, Pegoraro si è espresso anche su nutrizione e idratazione artificiali, spiegando che non si tratta di cure semplici, ma di pratiche necessarie; quindi, servono valutazioni caso per caso, rispettando la volontà del paziente, purché sia consapevole e informato. Pertanto, serve una valutazione clinica ed etica personalizzata, anche con il supporto di comitati etici clinici negli ospedali.