Il dolore fisico si debella oggi con cocktails di farmaci di ogni tipo, il dolore morale si riduce da sempre con l’umanità del medico, la condivisione dei sentimenti, la vicinanza della famiglia. Certo, questo dolore cosiddetto totale fatto anche di angoscia, paura, senso di solitudine e abbandono, non può determinare le decisioni oggi prospettate nella proposta radicale di legge sul fine vita avanzata dall’Associazione Coscioni in Toscana.
Per il fine vita ci sono le cure palliative, con le quali si può morire dignitosamente, attuando un’adeguata assistenza e terapia con anche sedazione leggera o intermittente, lasciando la coscienza a tratti, di fronte a momenti di relazioni parentali o amicali, fino alla sedazione terminale profonda possibilmente concordata col malato, che può prepararsi al trapasso da un punto di vista umano, familiare e anche spirituale.
Queste sono le cure palliative di cui Schuurmans, teorico 40 fa della legge sull’eutanasia in Olanda, dice: “Se ci fossero state le cure palliative, la legge sull’eutanasia non ci sarebbe stata”. E noi non vogliamo tener conto di questa affermazione?
In Olanda il numero dei richiedenti l’eutanasia, compresi i turisti, aumenta ogni anno e vi è la vedova inconsolabile, il settantenne che non ha più ragioni di vita, il depresso che gli psichiatri non sono riusciti a guarire: forse perché per il male psichico non bastano i farmaci, ma ci vuole il contesto umano, culturale e sociale che sostenga l’individuo.
Dico: occorre proprio un medico che ha studiato e lavorato per far vivere e per guarire, e non per la morte? Uno che vuole la morte potrebbe comprarsi il kit per la morte da portarsi dietro.
E poi si vorrebbe che il SSN, nato “per garantire la tutela e il recupero della salute fisica e psichica dell’individuo”, quindi per far vivere le persone nei reparti di cura, creasse anche reparti di morte?
Perché le società dove aumentano i suicidi si considerano “malate” e se ne chiede la causa? Perché il telone dei vigili del fuoco? perché se non porto il casco o metto la cintura in auto, lo Stato mi fa la multa?
Perché vengo punito se uso droghe o è suscettibile di essere punito colui che mi sottopone a lavori usuranti? Dunque lo Stato ha per legge la responsabilità della mia salute, perfino quella mentale, se desidero il suicidio.
Perché, se al Pronto Soccorso arriva un tentato suicidio, io, medico, non posso esimermi dal soccorrerlo, anzi, devo attuare un TSO? Si potrebbe dire: ma se vuole uccidersi, lo faccia, perché devo impedirglielo? Anzi, aiutiamolo nel suo proposito e non soccorriamolo.
La verità è che la morte non è un bene che la società può mettere a disposizione dei cittadini, perché la vita è il primo diritto di ogni uomo e la morte non è un valore che può determinare un diritto. Anche l’Europa ha intravisto un pericolo soprattutto per i più deboli e fragili e ha raccomandato le cure palliative.
La sofferenza e la malattia sono scandalo per la società di oggi, società del benessere e dell’edonismo. La maggioranza della gente purtroppo non avrebbe una vita dignitosa intesa come si intende oggi, piena di successo e di denaro, di giovinezza e salute, per cui se qualcuno si sente privato di questo tipo di vita a volte volentieri sceglierebbe di morire.
Sappiamo però che la popolazione che incontriamo tutti i giorni è la punta dell’iceberg di una moltitudine di persone che noi medici purtroppo conosciamo bene e che per il sentire di oggi non dovrebbero vivere.
Certamente eliminare coloro che sono troppo dispendiosi e improduttivi farebbe quadrare i bilanci delle ASL. Dobbiamo dire però che l’ammalato che si sente circondato da presenza amorevole non chiede di farla finita e per questo l’eutanasia è una sconfitta di chi la teorizza, la decide e la pratica.
Bisogna chiedersi se la insopportabilità del dolore del paziente non sia da leggersi come l’incapacità dei sani ad accompagnare la persona nella malattia: guai a colui che fa pesare al malato di esistere; noi medici dobbiamo difendere i fragili.
Diceva Hitler: “Se non c’è più forza per combattere per la propria salute, il diritto a vivere viene meno” e al funzionario Rauschning diceva: “La pietà conosce una sola azione: lasciar morire i malati”: ecco il piano Aktion T4 per 70mila tra dementi, disabili, malati geneticamente, ritardati mentali, coloro che il bioeticista Hengelhart giudica ‘non persone’, come gli stati vegetativi.
È certo che creano sofferenze personali, sofferenze dei parenti, sofferenze sociali, sofferenze economiche. Ma portarli alla morte è l’egemonia dei forti sui deboli e l’egemonia dei sani sui malati.
L’eutanasia frena il progresso scientifico, come la ricerca sull’invecchiamento, sulla degenerazione cerebrale, sul cancro, cioè per curare la malattia si uccide il malato: stesso trattamento che si fa con l’embrione di cui si attua il cosiddetto aborto “terapeutico” mentre in molti casi si potrebbe curare in utero.
Il nostro codice deontologico cita: “Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà”. Pensiamo alla compilazione dei moduli per la richiesta di suicidio assistito: quanti abusi potrebbero esserci da parte di parenti in attesa di testamento, anche di una misera casa, assistiti magari da medici compiacenti.
Le cure palliative sono la cura totale prestata alla persona affetta da una malattia non più responsiva alle terapie aventi come scopo la guarigione e il medico e le persone vicine al malato possono essere il farmaco più efficace. Vanno potenziate le cure palliative in modo che per il paziente non ci sia solo l’hospice, ma possa beneficiare di cure palliative a domicilio e poi, importantissimo, che vengano attuate cure palliative simultanee che accompagnino il paziente anche per lunghi periodi e lui stesso possa pianificare il suo piano di cura.
In tutto il mondo sono sorte centinaia di riviste su spiritualità, psiche e sofferenza e ad Harvard nei programmi di laurea sono stati introdotti corsi di “Religione, spiritualità e salute”, perché è dimostrato scientificamente che la preghiera e la meditazione hanno un impatto positivo sulla salute e la sofferenza. Sul portale dell’ospedale più antico di Parigi, fondato nel 651, c’è scritto “Se sei malato, vieni e ti guarirò; se non potrò guariti vieni e ti curerò; se non potrò curarti, vieni e ti consolerò”: queste sono le cure palliative.
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