Helenio Herrera per Fiora Gandolfi è un «uomo unico», dalle tre “i”. «Inafferrabile, irriducibile, incrollabile». Lei però l’ha conquistato e ne è diventata moglie. Artista concettuale, fotografa, scrittrice, giornalista, pittrice, stilista e costumista, è tante cose, oltre che moglie dell’allenatore che creò quell’Inter che dominò nei primi anni ’60. I due si conobbero nel 1969 grazie ad una intervista. «Mi chiesero qualcuno del calcio a Roma. Giorgio Tosatti del Corriere dello Sport suggerì Herrera. Non sapevo nulla di lui. Allenava i giallorossi», racconta al Quotidiano Nazionale. Lei si aspettava un tipo pittoresco, invece ne scoprì uno «elegante e cortese». A colpirla una frase in francese. Così cominciarono a frequentarsi. Per i giornali era la dama rossa. «Telefonò per scusarsi della pubblicità inopportuna. Una galanteria». Tra di loro c’erano 26 anni di differenza, ma lei non ci badava. «Alla sua morte ho trovato un documento: la data di nascita era il 1910, non il 1916 come da passaporto. Per errore lo zero era diventato un sei nella trascrizione. Certo lui ha giocato sull’equivoco». Fiora Gandolfi ha dovuto correggere con un pennarello l’incisione sulla lapide. Sulle ceneri racconta che sono in un’urna a forma di Coppa dei Campioni avvolta da sciarpe nerazzurre.
“ANDAVA NELLE CHIESE DOVE POTEVA RIFLETTERE”
Ma Fiora Gandolfi al Quotidiano Nazionale ripercorre anche le origini del marito Helenio Herrera. Nato in un’isola del Rio della Plata o del Tigre, arrivava da una famiglia argentina molto povera. Il padre era un carpentiere, la madre faceva i lavori più umili. Quando sbarcarono a Casablanca, fece di tutto, anche il carbonaio. «Chi nasce povero sa il valore del denaro. Diventato famoso ha preteso compensi mai visti prima nel calcio. Gli allenatori di oggi devono ringraziarlo». Se deve nominare qualcuno che glielo ricorda, cita Mourinho «per spirito e intelligenza». Il giocatore che Helenio Herrera amò di più è Facchetti. All’Inter fissò le sue regole: «Impose subito ritiri, alimentazione rigorosa, cartelli e slogan negli spogliatoi. Vinse tutto». I calciatori lo amavano e lo odiavano. «Mario Corso lo sfotteva chiamandolo mona, era nella manica del presidente ed Herrera faceva finta di niente. Di altri ottenne l’epurazione». Ma non era sempre intransigente, capiva quando doveva concedere qualcosa. Era credente, ma non battezzato. «Era devoto alla Vergine di Guadalupe e alla Madonna di Lourdes: due figure materne. Passava molto tempo nelle chiese dove poteva riflettere».
“MI MANCA LA SUA TENEREZZA”
Ma non aveva amici, perché «pensava calcio, il calcio era tutto». Fiora Gandolfi però lo accompagnava al cimitero di Trieste per rendere omaggio a Nereo Rocco. «Due più diversi non esistevano. Ma c’erano stima e affetto». A proposito del loro amore, la moglie di Helenio Herrera racconta che la loro unione è durata trent’anni e ha regalato loro due figlio, Helios e Luna, adottata da bambina. «Ho rispettato anche i suoi tradimenti purché avessero qualità. Le donne gli piacevano molto». Ma ricorda anche gli ultimi istanti del marito. Era a Parigi e la figlia Luna l’avviso dell’infarto. Le disse di chiamare subito l’ambulanza. «Ai medici Helenio disse di aspettare perché doveva finire di radersi». Quando arrivò in ospedale le chiese di andarlo a prendere perché l’infermiera aveva il passo pesante: «Spiegò: se mi prende un attacco non arriverà in tempo. Era allenatore anche in quel momento». Infine, ammette di sentire costantemente la sua presenza al suo fianco: «Lo sento dietro di me, angelo protettore. Dormivamo abbracciati: quello mi manca, la sua tenerezza».