La riforma del fisco prosegue nel solco del passato finendo per continuare a essere caratterizzata da rivisitazioni per atti successivi senza che vi sia nulla di organico. In questi giorni ha tenuto banco il tema della pressione fiscale e il dibattito si è polarizzato tra chi sostiene che sia cresciuta e chi invece sostiene che a essere aumentata sia solo l’imposta versata in valore assoluto e ciò per effetto dell’incremento dell’occupazione.
Tutte le letture a loro modo sono vere, perché dare una spiegazione univoca dei recenti interventi (riduzione delle aliquote, il tetto alle detrazioni fiscali, la normalizzazione delle imposte sostitutive sui capital gain, ecc.) è complicato.
L’Irpef e l’Ires sono senza dubbio aumentate per effetto degli interventi di accorpamento delle aliquote, della rivisitazione delle detrazioni di imposta, del nuovo meccanismo di deducibilità dei rimborsi per trasferte, ecc. Gli stessi interventi innovativi introdotti dal Governo sono oggetto di modifiche e ciò è anche naturale, posto che è dall’applicazione concreta che emerge la necessità di aggiustamenti.
Il Governo, in queste ore, ha introdotto modifiche al Concordato preventivo biennale (Cpb). Le novità riguardano le nuove cause di esclusione e di cessazione dal concordato che interessano il mondo del lavoro autonomo nelle diverse forme in cui si possa organizzare (associazioni professionali, società tra professionisti). Questo intervento si propone di assicurare che l’applicazione del concordato riguardi in concreto tutte le posizioni del professionista, quindi sia quella individuale che quella legata a partecipazioni collettive, con l’obiettivo di rendere meno arbitrario (dal punto di vista dei vantaggi fiscali indebiti) l’utilizzo dell’istituto.
È stata altresì introdotta, per il nuovo periodo 2025-2026 di applicazione, una modifica al calcolo delle imposte dovute in caso di adesione al concordato prevedendo l’aumento dell’imposta sostitutiva da applicare alla differenza tra il reddito concordato e il reddito effettivo del periodo d’imposta precedente qualora questa sia risulti essere superiore a 85mila euro. Sulla parte eccedente il limite individuato è ora previsto, infatti, che si applichino le aliquote marginali Irpef (43%) in caso di persona fisica o l’aliquota del 24% nel caso di una società di capitali.
È altamente probabile che, in tema di Cpb, quelle di queste ore non saranno le sole modifiche e che altre interverranno per gestire i redditi di coloro che a regime non potranno mantenere i livelli di redditi precedentemente concordati.
In attesa dei prossimi interventi non si può non registrare come rimanga forte la disuguaglianza della tassazione tra le persone fisiche. È significativa, infatti, la differenza Irpef tra dipendenti e autonomi fino a 50mila euro di reddito, con i primi che subiscono – per la concorrenza delle detrazioni e per il taglio del cuneo fiscale – un’aliquota media inferiore.
Altrettanto significativa è l’assenza di ogni valutazione premiale del rischio connesso alle attività lavorative svolte in quanto dipendenti e in quanto lavoratori autonomi sacrificate estremizzando il dogma della progressività della tassazione.
Nell’assetto attuale il divario è profondo anche all’interno della stessa categoria dei lavoratori autonomi, se si considerano i forfettari: da 15mila euro di reddito in su il vantaggio di chi ha scelto la sostitutiva del 15% diventa sempre maggiore rispetto ai colleghi che – sostenendo costi di struttura significativi – sono rimasti ancorati alla curva nell’Irpef. Questo divario si pone come una barriera alla crescita degli studi professionali.
I dati mostrano come si sia lontani dall’equità auspicata da tutti e declinata dalla legge 111/2023. L’attuale Governo considera questo traguardo come un obiettivo di legislatura e, dunque, un giudizio non può che essere prematuro. Non si può non riconoscere, infatti, che gli attuali scenari macroeconomici complicano il raggiungimento dell’obiettivo e il successo della riforma sarà misurabile solo a valle di una completa rimodulazione della tassazione dei redditi degli appartenenti al ceto medio.
Il risultato appare conseguibile solo attraverso l’introduzione di un complicato mix di detrazioni, aliquote, soppressione di imposte sostitutive che al momento non è ancora in campo.
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