FOCUS INFLAZIONE/ Il mostro da abbattere a costo della crescita

- Giovanni Ricci

Quando l'inflazione è oramai moderata, è essa che va fermata e la crescita effettiva e desiderata va messa come secondo obiettivo

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Per il dato inflattivo Usa che verrà pubblicato oggi 10 febbraio e riferentesi a gennaio 2022 in tendenziale sull’anno, si stima un tasso del 7,6-7,7% con valore minimo non inferiore al 7,2%. Il Consensus Bloomberg degli operatori di mercato è al 7,3% annuo, quindi una stima abbastanza divergente da quella qui presentata, sebbene con movimento rialzista rispetto a dicembre 2021.

Purtroppo, dinamiche molto insidiose forti e soprattutto esogene stanno via via conquistando il centro degli eventi; la dinamica di prezzo che sempre viene ribadita nei miei interventi essere il principale indicatore dello stato dell’arte in termini inflattivi è quella del petrolio, la quale si comporta come causa efficiente e generatrice degli eventi nelle loro maggiori escursioni di problemi e aspetti, e la quale poi in seguito allo stesso modo diventa effetto di cause secondarie una volta che fattori di offerta di secondo livello siano stati attivati; in più chiare lettere si sta cercando di illustrare ciò che tecnicamente viene definito circolo vizioso degli accadimenti: più essi evolvono e si avviluppano, più la situazione complessiva peggiora.

È chiaro, almeno per chi scrive, che le autorità monetarie di tutto il mondo, a partire dalla Fed – focus di questi interventi -, si siano fatte trovare impreparate dai fatti, oppure detto meglio non si attendevano scenari del genere, fino ad arrivare a istituzioni come la Bce che sembra stia iniziando a montare lenti distorte per rifiutare la realtà.

Già, la realtà: come va descritta, cosa sta effettivamente accadendo? Del tutto ovvio che di fronte a tematiche così vaste e complesse nessuno può arroccarsi a credere di detenere una razionalità totale degli svolgimenti, ma bisogna riconoscere che il sostrato dei giudizi di valore, etici e emotivi, di fronte a scenari via via più immensi e indeterminati fa da base implicita a qualsivoglia analisi. Sebbene io creda con fermezza a ciò che vado illustrando e analizzando, mi sento sempre più a mio agio nel sottolineare che porto con me i miei convincimenti di fondo, composti da immagini, formazione, personalità, eventi, interessi, in definitiva un retaggio proprio e identitario.

Sembrano precisazioni a latere dei problemi che si vanno trattando e invece al contrario sono centrali, in quanto si sta cercando di illustrare il proprio punto di vista sui fatti e le leggi che regolano l’economia del pianeta intero, con focus sul sistema più importante di tutti e cioè gli Stati Uniti. Cosicché, avendo dato il dovuto tenore di intenti a questa analisi, cercherò ora di illustrare in maniera sempre più precisa dov’è avvenuto lo spiazzamento fondamentale delle autorità monetarie: in sostanza, esse non avevano previsto l’intensificazione accentuata dello scontro strategico tra le maggiori potenze, dove le dinamiche più grandi e problematiche di tutte sono quelle tra Stati Uniti e Russia, e poi a una certa distanza abbastanza evidente troviamo prima la Cina e poi ancora più indietro le velleità politiche di noi europei dell’Unione.

I banchieri centrali con in testa la Fed sapevano esattamente che al finire dell’emergenza sanitaria la ripartenza economica avrebbe creato problemi di ingolfamento sulle filiere produttive e poi problemi logistici legati ai trasporti in tutto il mondo, e sapevano anche dell’esasperazione ulteriore che avrebbe dato una domanda che si ridestava più o meno allo stesso tempo in tutto il mondo.

Ecco il perché delle iniezioni gigantesche di liquidità ai mercati azionari, per ottenere il doppio risultato di evitare crack per mancanza di liquidità derivante dalle cadute delle vendite e per tenere bassi i tassi di interesse e non mettere in crisi l’altro lato dei super prenditori di fondi e cioè gli Stati. Quindi, si era ipotizzata inflazione in crescita modesta e cioè non superiore al 4% annuo e per questo stesso motivo transitoria data la sua poca intensità.

Ma l’inflazione effettiva ha sparigliato le carte perché è cresciuta molto di più, e addirittura in questo intervento si ipotizza ora già al 7,6%, ed è cresciuta molto al di là delle attese delle istituzioni monetarie per il seguente motivo: non si sono previsti i fatti che covavano nella coltre e a cui stiamo assistendo; ad esempio, per quel che a che fare con l’Ucraina in maniera acutizzata da due mesi a questa parte, ma con il riemergere improvviso all’ordine del giorno da circa 8/9 mesi; come già detto, però, non vanno tralasciate le altre inquietudini globali: nuovo protagonismo cinese, la ridefinizione dell’architettura europea, i disordini in Asia centrale e via discorrendo.

Siamo praticamente alle anticamere di scontri tra Stati di natura non economica, con profonde e vaste ricadute economiche: l’attuale congelamento di fatto dei flussi russi di gas verso l’Europa e l’entrata in campo a soluzione di breve momento del gas liquido americano e a costi incredibili. Ma il gas non è che il figlio minore del protagonista più letale e cioè il petrolio, con l’Opec + che non riesce a rispettare gli incrementi effettivi e programmati dei 400.000 barili in più al giorno; ora, finché sono Stati come la Nigeria, l’Angola ad accusare difficoltà di ripristino in toto delle estrazioni, le motivazioni sono accettabili e condivisibili, ma al contrario quando è la Russia a comunicare di sue insormontabili difficoltà a tenere il passo degli incrementi produttivi programmati e divulgati, la faccenda puzza e puzza per il mondo intero.

Eccoci servito in piena crisi lo scontro strategico tra Stati Uniti e Russia, e in tali dinamiche gli strumenti delle Banche centrali a partire dalla Fed perdono notevolmente di efficacia, e servono soprattutto dal lato della domanda a mitigare il più possibile le dinamiche fuori controllo dell’offerta, cercando di tenere sotto controllo l’inflazione finché essa può essere gestita come solo fenomeno monetario, soglie massime del 9,5% circa del tasso inflattivo.

C’è pertanto una contrapposizione immensa, un quesito subdolo e centrale: fermare l’inflazione o l’agognata crescita? Và però precisato che la dimensione teorica di fondo di questo quesito non verrà qui approfondita, e cioè visione keynesiana più o meno evoluta ed eclettica, e dalla parte opposta ricerca monetarista più o meno integrale. La mia personale risposta è comunque immediata: quando l’inflazione è oramai presente con tassi dal 7% in su, è essa che va fermata e la crescita effettiva e desiderata va posta come secondo obiettivo. L’inflazione più della disoccupazione nelle sue forme intense ha la capacità di mettere in crisi e dilaniare il corpo sociale; detto meglio, la disoccupazione è da subito un mostruoso problema individuale e tende a diventare nell’ingigantirsi un problema sociale e di crescita economica, mentre l’inflazione non ha nemmeno all’inizio di mira la singola persona, ma brucia la società intera da subito,

È vero, immense masse di liquidità sono state immesse sui mercati dal 2008 in avanti e con un gran balzo ulteriore nel 2019, in effetti nel 2008 la base monetaria della Fed era pari a 2.500 miliardi di dollari circa a fronte dei 10.500 miliardi attuali; tutto questo è indubbio e vale anche per la Bce e per le maggiori banche centrali del pianeta, ma lo si ribadisce con forza che tutta questa liquidità non è responsabile, nemmeno in seconda battuta, dell’inflazione odierna.

Era una liquidità finanziaria che creava e crea bolle speculative, dagli azionari di ogni tipo, agli immobiliari, fino alla bolla peggiore di tutte: l’appiattimento della curva dei tassi di interessi su tutte le lunghezze temporali, anzi l’entrata in campo quasi paradossale dei rendimenti negativi.

A mio parere gli operatori di ogni dove del mondo erano convinti che gli Stati con in testa gli Stati Uniti d’America erano più forti di qualsiasi futuro si fosse presentato, e quindi lungo tale linea d’ombra era opportuno dare tutti i soldi possibili e immaginabili a tali entità perché avrebbero garantito a tutti l’assenza di incertezza del futuro. Non c’è che dire, un bel risultato: guerra dell’Ucraina oramai di fatto già pronta a scatenarsi in dimensioni sempre più virulente, una confusa, incerta ideologica progettazione dell’uso dell’energia per il futuro. Il futuro, che qui si prende le sue ricompense: pericoloso e sconosciuto.

L’inflazione oramai entrata a gambe tese nel dibattito economico ci sta iniziando a presentare il saldo di un rendiconto molto più ingestibile e insopportabile. D’altra parte la sua letalità consiste anche nel fatto che è una delle poche forze conosciute che è in grado di abbattere debiti pubblici mostruosi e fuori controllo; lasciamo da parte noi italiani e prendiamo ad esempio il Giappone con un debito pubblico del 220% circa del Pil con valori assoluti pari a 5.000 miliardi di dollari per il Pil e con il debito pubblico pari a 12.000 miliardi di dollari; in aggiunta si deve ricordare che lo yen è una valuta pregiata e di riserva. Con l’inflazione in crescita tali equilibri instabili verrebbero a fine in modo critico e inarrestabile.

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