Una grande seconda stagione di Fondazione si è conclusa sabato scorso con il suo decimo episodio. Un gran finale, imprevedibile ed entusiasmante, che solo in parte fornisce tutte le risposte che cercavamo, ma che in compenso ci ha già offerto i primi spunti di quella che sarà probabilmente la terza stagione. La “storia” futura sarà ancora una volta segnata da accadimenti inevitabili – come ama definirli il professor Seldon, padre della “psicostoria” – e saranno essi a determinare l’esito della guerra tra l’Impero e la Fondazione.
Chi ha amato la corposa produzione letteraria di Isaac Asimov ha resistito molto nell’accettare e nel considerare valida la nuova trasposizione cinematografica creata da David S. Goyer e Josh Friedman per la Skydance e distribuita da Apple Tv+. Ma oggi dovrebbe ricredersi, e dichiarare apertamente l’apprezzamento per una delle realizzazioni di maggior valore e di grande qualità dei racconti del grande maestro della fantascienza. La prevalenza in Fondazione di una rilettura contemporanea del lavoro dello scrittore russo ha reso – se possibile – la sua opera ancora più platealmente attuale e di valore straordinario.
In un mondo futuro, tra moltissimi anni, quando quasi tutto l’universo sarà stato colonizzato e l’Impero sarà giunto alla 18a generazione dei fratelli Alba, Giorno e Tramonto, il dominio dei Cleon – con l’aiuto di Demerzel, l’ultimo robot sopravvissuto alla guerra contro gli umani – sembra ormai procedere indisturbato. Ma un manipolo di oppositori, annidati sul pianeta Terminus dove è stata esiliata la Fondazione, dà inizio a una battaglia di resistenza. Esattamente come aveva previsto il professor Hari Seldon.
L’improvvisa ricomparsa di seguaci del “piano Seldon” spinge l’Impero a ingaggiare una battaglia nei confronti della Fondazione. All’inizio appare come una semplice operazione di repressione, ma le crepe del sistema imperiale la trasformano in una vera e propria guerra intergalattica. Il tema dominante che fa da sfondo a questa seconda stagione è l’Intelligenza artificiale, i suoi possibili sviluppi, le dinamiche culturali e morali che pone al genere umano. Ma anche i limiti e i pericoli insiti in uno salto tecnologico scellerato e senza regole, di cui oggi vediamo solo gli inizi.
Protagonista principale è la giovane Gaal, interpretata da Lou Llobell, la brillante matematica allieva di Seldon, l’unica che riesce a tenere testa al professore – nelle sue versioni reali e olografiche – sulla correttezza dei suoi calcoli, avanzando qualche dubbio sulla certezza matematica del crollo dell’Impero. Ma Gaal non considera proprio il suo ruolo decisivo. La psicostoria ha generato paradossalmente anche seguaci che agiscono come una vera e propria setta religiosa, ma la Fondazione rimane soprattutto il baluardo della razionalità, il luogo dove si conserva la capacità – tutta umana – di leggere con anticipo i reali fattori di crisi.
Tra i protagonisti della serie tv ritroviamo Jared Harris (Mad Men, Sherlock Holmes, Chernobyl) nei panni del professor Seldon, un bravissimo Lee Pace nel ruolo di Fratello Giorno e l’attrice finlandese Laura Birn, straordinaria interprete del robot Demerzel. È lei che ci conduce nei meandri di quello che potrebbe rappresentare nel nostro futuro l’uso dell’Intelligenza artificiale. È lei il personaggio da tener d’occhio. Perché è lei che ci spiega come l’atto di delegare ogni potere alla tecnologia difficilmente potrà essere disgiunto dalla perdita della nostra stessa capacità cognitiva e creativa.
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