Il nostro sistema scolastico ha subito molti interventi di riforma, ritocco e la moltiplicazione dei percorsi formativi, ma resta al fondo quello disegnato da Gentile. La gerarchia dei percorsi scolastici è fissata a partire dal liceo classico e poi a scendere fino agli istituti tecnici. Sotto all’insieme dei percorsi secondari superiori la formazione professionale. Dopo difficoltà incontrate nel percorso scolastico di prima scelta non si cerca mai una scuola di livello superiore, ma si passa dal livello A al B e così via. Per questo nell’immaginario collettivo i corsi di formazione professionale servono, come diceva Don Milani, a raccogliere gli espulsi dalla scuola ritenuta superiore.
La Fondazione Engim, ente nazionale non profit nato dalla esperienza degli Artigianelli di Torino nella seconda metà dell’800, promuove e gestisce corsi di formazione professionale in 5 regioni italiane con oltre 10mila iscritti. Forte della sua esperienza ha voluto verificare quanto la realtà sia lontana da come ancora adesso i media e l’opinione pubblica tendono a percepire i corsi professionali.
Incaricato un istituto di analisi sociale, ha sviluppato un questionario coinvolgendo 4.000 giovani fra i propri iscritti e 400 studenti di liceo o istituti superiori, oltre a un campione di giovani fino a 34 anni già inseriti nel mondo del lavoro.
Chiariamo subito che i pregiudizi ancora diffusi non trovano nessun riscontro nella realtà. I due terzi degli iscritti alla Istruzione e formazione professionale (Iefp) dichiara che è stata la prima scelta dopo la terza media. È il 33% che arriva alla formazione professionale dopo una o più bocciature lungo altri percorsi scolastici, ma è un dato che caratterizza anche altri corsi formativi.
Anche la composizione sociale ricalca quelle del territorio. Le Iefp di Engim sono in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio. Quasi il 67% degli iscritti proviene da famiglie che per preparazione culturale e professionale sono da considerare di ceto medio alto.
Certo i ragazzi provenienti da famiglie di ceto basso sono in percentuale doppia rispetto a quelli delle altre fasce scolastiche. Dato che viene determinato anche da una presenza di ragazzi di famiglie di provenienza estera comunitaria superiore del 10% rispetto ai corsi scolastici quinquennali. Vi sono quindi differenze, ma non tali da confermare i corsi di Iefp come destinati solo a ragazzi provenienti da classi sociali marginali come invece si tende a ritenere nei commenti pubblici.
La scelta del percorso di formazione professionale viene valutata come soddisfacente da quasi l’80% degli intervistati. È quasi il 20 % in più di quanti lo dichiarano frequentando altri istituti. La maggiore soddisfazione viene dal rapporto con il lavoro. Sono le esperienze di laboratorio, gli stages formativi e la prospettiva di provare già la professione che si inizierà a fine percorso scolastico che vengono valutate positivamente dai ragazzi della formazione professionale. Lasciando nell’indeterminatezza le scelte future, non riescono a dare la stessa soddisfazione le esperienze prodotte dai licei e dagli istituti tecnici sempre più licenziati nell’approccio con la realtà produttiva di riferimento.
Insomma, nonostante il boicottaggio delle iniziative di scuola-lavoro è proprio dal rapporto che si viene a creare con il possibile sbocco lavorativo che discende la maggiore soddisfazione fra chi ha occasione di provare il successo pratico del percorso formativo seguito rispetto a chi non ha possibilità di sperimentare esperienze di lavoro mentre frequenta il percorso scolastico.
Alle domande generali sul rapporto con i valori legati al lavoro non emergono differenze fra i giovani che frequentano diversi percorsi scolastici, né con quelli che sono già inseriti nel mondo del lavoro. Viste le risposte alle domande valoriali non sono “tradizionalisti” e nemmeno “ludici”. Non vi è nemmeno un impegno sociale spiccato. L’analisi condotta li definisce soprattutto “relativisti”, per cui tutto è relativamente importante e diventa una guida a seconda della situazione specifica in cui si è inseriti in quel determinato momento. È una predisposizione all’adattamento rispetto alla contrapposizione caratteristica di altri periodi.
Emerge qui uno dei punti critici che vengono messi in luce dall’analisi dei dati. Manca completamente un orientamento di supporto di fronte alle scelte che nel corso della fase di crescita devono essere compiute. Alla domanda di come sono arrivati alla scelta del percorso scolastico dopo la terza media, la maggioranza dei ragazzi dichiara di avere scelto da solo. Il confronto con il gruppo è già una potenziale attenzione a valutare con qualcuno. La famiglia funziona più per contraddittorio che per la fase di scelta. La minoranza che ammette di essersi appoggiato in famiglia si è per grande maggioranza confrontato con la madre.
Il tema dell’orientamento emerge con forza anche sulla scelta del percorso di studio, per chi ha scelto il liceo o altri percorsi quinquennali, e per la professione per chi ha scelto la formazione professionale.
La debolezza storica dei servizi di orientamento pesa nel nostro sistema di politiche attive del lavoro. Lo stesso sforzo intrapreso negli ultimi anni per potenziare la certificazione delle competenze individuali manca di una base solida non avendo alle spalle il confronto con un servizio di orientamento capace di prendere in carico la persona a partire dalle prime scelte che incideranno poi sulla professione che vorrà esercitare nel corso della vita lavorativa.
L’analisi fornita da Engim ci dice che la formazione professionale è già un percorso scolastico, educativo e formativo capace di attrarre giovani a offrire loro sbocchi lavorativi che soddisfano la scelta fatta. Il sistema che mette maggiormente assieme scuola e lavoro è quello che riceve maggiore apprezzamento. Occorre che il Governo usi tutti i poteri sussidiari per intervenire su quelle regioni che non hanno ancora sviluppato a dovere il settore della formazione professionale e il sistema duale.
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